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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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determinare quale relazione sussista tra la concezione dei beni e dei mali e il<br />

possesso stabile della felicità da parte del saggio. Cicerone in particolare avanza<br />

perplessità e dubbi sulla compatibilità teorica di due tesi originariamente distinte<br />

nell'esposizione del pensiero degli antichi da parte di Antioco: la formula del telos<br />

attribuita agli antichi academici elabora infatti la combinazione del concetto di virtù<br />

con un molteplicità di altri beni, il cui valore è determinato dalla 'conformità alla<br />

natura': v. Luc. 131-132 = T. 39: "Honeste autem vivere fruentem rebus is quas<br />

primas homini natura conciliet"; Luc. 138-139 = T. 40 : "qui ad honestatem prima<br />

naturae commoda adiungerent"; Fin. II, 34-35 = T. 42 : "Ergo nata est sententia<br />

veterum Academicorum et Peripateticorum, ut finem bonorum dicerent secundum<br />

naturam vivere, id est virtute adhibita frui primis a natura datis"; Fin. IV, 14-15 = T.<br />

44: "Cum enim superiores, e quibus planissime Polemo, secundum naturam vivere<br />

summum bonum esse dixisset (...) omnibus aut maximis rebus iis quae secundum<br />

naturam sint fruentem vivere"; Fin. IV, 50-51 = T. 46: "qui, virtutem omnibus rebus<br />

multo anteponentes, adiungunt ei tamen aliquid summo in bono finiendo".<br />

In altro contesto invece gli stoici stabiliscono un rapporto dimostrativo di<br />

implicazione tra la tesi per cui la virtù è l'unico bene, l'autarchia della virtù, e l'idea<br />

che la felicità del saggio è un possesso stabile e inalterabile. In riferimento agli<br />

argomenti stoici, Antioco sembrerebbe aver sostenuto che il principio dell'autarchia<br />

della virtù non implica necessariamente che la virtù sia l'unico bene, v. Fin. IV, 50-51<br />

= T. 46. Attraverso la distinzione all'interno del concetto di felicità di un grado zero<br />

(vita beata) e di un grado superlativo (vita beatissima), Antioco argomentava che la<br />

virtù è certo autosufficiente per una vita felice, anche se solo il concorso delle altre<br />

categorie di beni garantisce l'accesso alla vita massimamente felice 606 , cfr. Fin. V, 81:<br />

"...si ista mala sunt, in quae potest incidere sapiens, sapientem esse non esse ad<br />

beate vivendum satis. Immo vero, inquit, ad beatissime vivendum parum est, ad beate<br />

vero satis"; Tusc. V, 22-23: "Dicebantur haec, quae scriptitavit etiam Antiochus locis<br />

pluribus, virtutem ipsam per se beatam vitam efficere posse neque tamen<br />

beatissimam";<br />

Il problema della stabilità della felicità viene affrontato anche nel V libro del De<br />

finibus a partire dalla posizione sostenuta da Teofrasto (Fin. V, 12; Fin. V 85-86; cfr.<br />

Tusc. V, 24). Cicerone menziona infatti un testo Sulla felicità 607 di Teofrasto come<br />

606 La critica ha ritenuto quest'aspetto della teoria etica di Antioco un tentativo, non di grande successo, di<br />

conciliare la tesi stoica per cui il saggio è sempre felice con la tesi peripatetica della tripartizione dei beni, v.<br />

Barnes (1989), pp. 88-89; Annas (1993), p. 87.<br />

607 Fin. V, 12: "Theophrasti De beata vita liber", v. Theophrastus S. 498 FHSG (1992), commentario in<br />

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