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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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All'origine del dibattito si trovano le argomentazioni di Arcesilao contro le definizioni<br />

fornite da Zenone del concetto di fantasi/a katalhptikh/ su cui si basa la concezione<br />

stoica della conoscenza (Luc. 77-78); Arcesilao si sarebbe dimostrato pronto ad accettare<br />

la validità della definizione zenoniana, per poi argomentare che nessuna delle<br />

rappresentazioni dell'uomo ne soddisfa i requisiti 103 e che dunque è giusto per l'uomo<br />

saggio sospendere il giudizio e non dare l'assenso a nessuna delle sue rappresentazioni.<br />

L'atteggiamento critico di Arcesilao in ultima istanza piega la definizione stoica a<br />

sostenere una tesi contraria a quella in relazione alla quale è stata creata. Successivamente<br />

il contributo di Carneade al medesimo dibattito si sarebbe svolto in opposizione alle<br />

argomentazioni avanzate da Crisippo 104 e Antipatro 105 . Le difficoltà di ricostruzione di<br />

questa già complessa fase del dibattito sono aumentate dal fatto che, a proposito delle<br />

posizioni effettivamente assunte da Carneade, sembrano esserci state profonde divergenze<br />

interpretative all'interno della stessa Academia, per cui la lettura di Clitomaco dello<br />

scetticismo carneadeo diverge da quella proposta da Metrodoro e anche da quella di<br />

Filone 106 . Cicerone presenta come oggetto di particolare controversia l'idea, probabilmente<br />

sostenuta da Filone (nei libri romani), che secondo Carneade il saggio formula talvolta<br />

delle opinioni 107 . Secondo la definizione stoica, il formulare un opinione (do/ca)<br />

corrisponde a dare l'assenso (sugkata/qhsij) a una rappresentazione non catalettica,<br />

dunque la tesi (eventualmente) sostenuta da Carneade equivarrebbe a dire che il saggio dà<br />

talvolta l'assenso a una rappresentazione falsa, il che non solo è incompatibile con la<br />

definizione di saggio, ma sopratutto entra in conflitto con il principio scettico<br />

fondamentale per cui il saggio non dà l'assenso a nessuna delle sue rappresentazioni. Con<br />

maggiore insistenza, il testo ciceroniano attribuisce a Carneade l'uso del concetto di<br />

'rappresentazione probabile' o 'rappresentazione probabile e senza ostacolo' 108 , il quale<br />

103 Una rappresentazione è catalettica se 1) proviene da cio che è (ex eo quod esset); 2) si imprime in accordo con ciò<br />

che è (sicut esset, impressum et signatum et effictum); 3) è tale che non potrebbe venire da ciò che non è (v. Luc. 77<br />

« hic Zenonem vidisse acute nullum esse visum quod percipi posset, si id tale esset ab eo quod est ut eiusdem modi<br />

ab eo quod non est posset esse »). Stando al testo ciceroniano la terza clausula sarebbe stata stimolata dai quesiti<br />

sollevati da Arcesilao. Cfr. DL VII, 46; SE Adv. Math. VII, 248.<br />

104 v. Luc. 87.<br />

105 v. Luc. 28; 109, dove Carneade ribatte all'obiezione formulata da Antipatro che se qualcuno afferma che niente può<br />

essere percepito (come vero), deve ammettere che almeno questo fatto, che niente può essere percepito (come vero),<br />

può essere percepito (come vero). Carneade risponde che nemmeno l'impossibilità della percezione fa eccezione e<br />

pertanto non può essere percepita (come vera).<br />

106 v. Luc. 78 "equidem Clitomacho plus quam Philoni aut Metrodoro credens hoc magis ab eo disputatum quam<br />

probatum puto".<br />

107 v. Luc. 59: "Carneadem autem etiam heri audiebamus solitum esse eo delabi interdum ut diceret opinaturum, id est<br />

peccaturum, esse sapientem"; Luc. 67; Luc. 78.<br />

108 v. Luc. 33: "quam ob rem sive tu probabilem visionem sive probabilem et quae non impediatur, ut Carneades<br />

volebat, sive aliud quid proferes quod sequare, ad visum illud de quo agimus tibi erit revertendum"; Luc. 99: "Duo<br />

placet esse Carneadi genera visorum, in uno hanc divisionem, alia visa esse quae percipi possint, alia quae percipi<br />

xlix

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