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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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acquisire una certa autonomia di movimento nella moltitudine delle questioni affrontate<br />

all'interno di una disciplina 124 . Secondo le direttive aristoteliche inoltre è buona pratica<br />

fornire un elenco delle opinioni diffuse su una particolare questione al fine di ottenere un<br />

panorama completo dello 'stato della materia' e organizzare la discussione di conseguenza.<br />

Se, come sembra, le affinità strutturali tra i testi presi in considerazione dagli studi sulla<br />

dossografia sono spiegabili in base alla persistenza di schemi argomentativi di stampo<br />

aristotelico, viene immediatamente meno la necessità di postulare una fonte unica. E ancor<br />

più radicalmente risulta generalmente inappropriato parlare di 'genere letterario' per i testi<br />

dossografici, nella misura in cui questi risultano prevalentemente essere sezioni di testi<br />

dedicati all'indagine filosofica di una materia, più che testi propriamente dotati di una loro<br />

autonomia. Inoltre, alla luce di quanto fin qui ricordato, anche l'uso dell'aggettivo<br />

'storiografico' per descrivere la natura dei testi in questione diventa problematico. La<br />

conservazione di informazioni preziose da un punto di vista storico sembrerebbe essere<br />

infatti solo un effetto collaterale rispetto allo scopo dialettico delle liste di opinioni dei<br />

filosofi. Si può certo supporre che un certo grado di accuratezza e fedeltà nel riportare le<br />

opinioni degli interlocutori chiamati in causa fosse funzionale al valore della discussione<br />

dialettica che ne conseguiva, ma numerosi esempi ci insegnano invece che il contesto<br />

polemico tra le diverse istanze filosofiche nel mondo antico favoriva spesso una<br />

presentazione quantomeno riarrangiata, per non dire deliberatamente deformata, delle<br />

posizioni degli avversari.<br />

Come si determina allora il valore storiografico dei passaggi dossografici? Come si<br />

considerano quei testi in cui i passaggi dossografici si ampliano fino a occupare lo spazio<br />

di un'intera opera? Come valutare la plausibilità dell'ipotesi che alcuni autori antichi<br />

consultassero nella redazione dei loro testi opere manualistiche tipologicamente molto<br />

simili? Queste mi sembrano essere alcuni dei questiti ancora aperti nell'ambito del<br />

rinnovamento degli studi sui testi dossografici.<br />

La mia attenzione si sofferma in particolare su due testi del corpus dossografico: il De<br />

finibus (libri IV e V) di Cicerone e i suoi rapporti con la dossografia peripatetica presente<br />

nelle Eclogae di Giovanni Stobeo e riconducibile all'opera dossografica di [Ario Didimo].<br />

Tra questi due testi la critica ha rilevato interessanti affinità contenutistiche e in particolare<br />

124 v. Cic. Fin. IV, 16: « Quae quidem ars efficit, ne necesse sit isdem de rebus semper quasi dictata decantare neque a<br />

commentariolis suis discedere ».<br />

lviii

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