UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

intermedio tra beni e mali, scomposto in cose kata£ fu/sin, cose para£ fu/sin e cose
che non sono nè l'uno nè l'altro (neutra), così le azioni si possono esercitare a partire
da disposizioni 'intermedie', che non sono (ancora) nè virtù nè vizi, ma che possono
essere kata£ fu/sin (-> officia), para£ fu/sin (-> contra officia), [o nessuno dei due].
Cfr. Cic. Off. III, 14;
2) Nel contesto di una dimostrazione del fatto che una teoria dei kaqh/konta è
perfettamente compatibile con il principio secondo il quale "honestum solum bonum
esse", Fin. III, 58 : "Sed cum, quod honestum sit, id solum bonum esse dicimus,
consentaneum tamen est fungi officio, cum id officium nec in bonis ponamus nec in
malis. Est enim aliquid in his rebus probabile, et quidem ita ut eius ratio reddi
potest, ergo ut etiam probabiliter acti ratio reddi potest. Est autem officium, quod ita
factum est, ut eius probabilis ratio reddi potest (cfr. D.L. VII, 107: "o(/ praxqe£n
eu)/logo/n [te] i) /sxei a)pologismo/n"). Ex quo intellegitur officium medium
quiddam esse, quod neque in bonis ponatur neque in contrariis". La funzione
dell'aggettivo medium è quella di esprimere la differenza 'epistemologica' che
sussiste tra un bene o un male e un'azione la cui ragionevolezza è solo plausibile, non
certa. Il valore dell'azione varia in funzione del grado di comprensione di cui il
soggetto dispone rispetto all'azione stessa (certe : bona ; probabile : officia (media)).
A controprova della distinzione si menziona il fatto che anche il saggio, il cui
giudizio è infallibile, designa alcune delle sue azioni come officia (Fin. III, 59: Atque
perspicuum etiam illud est, in istis rebus mediis aliquid agere sapientem. Iudicat
igitur, cum agit, officium illud esse. Quodquoniam nunquam fallitur in iudicando,
erit in mediis rebus officium). Il che equivale a dire – sempre che non la si voglia
prendere come una petizione di principio! – che nella sfera delle 'azioni intermedie', a
cui il saggio saprebbe, se necessario, aggiungere un'intenzione pienamente virtuosa,
rientrano anche tutte quelle azioni il cui valore (o motivo per essere compiute) non si
trova in un giudizio certo sulla qualità morale dell'azione, ma in un qualsiasi
ragionamento coerente, per esempio del tipo mezzi-fini (v. III, 58: quoniamque in iis
rebus quae neque in virtutibus sunt neque in vitiis est tamen quiddam quod usui
potest esse, tollendum id non est). In ragione di ciò il paragrafo ciceroniano si
ἐδόκει καὶ ἀπόδειξιν συμπαραλαμβάνειν. εἰ γὰρ ἔστι τι κεχωρισμένον πρᾶγμα τῶν ἀγαθῶν καὶ κακῶν καὶ τῶν μήτε
ἀγαθῶν μήτε κακῶν, ἐκεῖνο ἤτοι ἀγαθόν ἐστιν ἢ οὐκ ἔστιν ἀγαθόν. καὶ εἰ μὲν ἀγαθόν ἐστιν, ἓν τῶν τριῶν γενήσεται·
εἰ δ' οὐκ ἔστιν ἀγαθόν, ἤτοι κακόν ἐστιν ἢ οὔτε κακόν ἐστιν οὔτε ἀγαθόν ἐστιν· εἰ δὲ κακόν ἐστιν, ἓν τῶν τριῶν
ὑπάρξει, εἰ δὲ οὔτε ἀγαθόν ἐστιν οὔτε κακόν ἐστι, πάλιν ἓν τῶν τριῶν καταστήσεται. πᾶν ἄρα τὸ ὂν ἤτοι ἀγαθόν ἐστιν
ἢ κακόν ἐστιν ἢ οὔτε ἀγαθόν ἐστιν οὔτε κακόν ἐστιν. », commento in Spinelli (1995), p. 145-153.
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