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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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perlomeno agli occhi di Cicerone, una posizione di merito 531 , per aver offerto una<br />

versione dell'etica stoica chiara ed esente dagli esiti paradossali denunciati da<br />

Carneade 532 . Panezio sembra infatti aver indagato la funzione normativa della natura<br />

umana individuale nelle circostanze più concrete della vita: ricordando la dimensione<br />

kata£ fu/sin dei kaqh/konta, avrebbe dunque operato una rivalutazione del contenuto<br />

(oggettivo) delle azioni dell'uomo, anche quelle che non possono dirsi né<br />

propriamente virtuose (katorqw/mata) o viziose (a(marqh/mata), e che dunque sono<br />

dette "intermedie (me/sai)" 533 . Ci troveremmo allora di fronte ad uno slittamento di<br />

prospettiva all'interno dell'etica stoica, per cui la figura del saggio non è più il<br />

paradigma esclusivo del valore morale dell'azione e la dottrina etica pone al centro il<br />

problema delle connotazioni individuali.<br />

Per un'inclusione del concetto di kaqh=kon direttamente nella formula del telos si<br />

veda invece Archedemo di Tarso, filosofo stoico vissuto nel II sec. a.C, che Cicerone<br />

considera tra i più grandi filosofi dialettici del suo tempo (Luc. 143 = SVF III ArT<br />

19). Diogene Lerzio e Giovanni Stobeo sono concordi nel ritenere che la formula del<br />

telos patrocinata da Archedemo fosse: "vivere portando a compimento tutti i doveri<br />

(pa/nta ta£ kaqh/konta e)pitelou=ntaj zh=n)" (D.L. VII, 88; Stobaeus, Ecl. II, 7, 6a p.<br />

76 Wachsmuth = LS 59 J). La formula necessiterebbe di essere contestualizzata<br />

nell'ambito di un dibattito filosofico sia interno alla scuola stoica 534 , sia in dialogo<br />

531 Fin. IV, 79 = fr. 55 Van Straaten; T. 79 Alesse: “Quam illorum tristitiam atque asperitatem fugiens<br />

Panaetius nec acerbitatem sententiarum nec disserendi spinas probavit fuitque in altero genere mitior, in<br />

altero illustrior semperque habuit in ore Platonem, Aristotelem, Xenocratem, Theophrastum, Dicaearchum,<br />

ut ipsius scripta declarant”, cfr. Fin, IV, 23 ; Philod., Stoic.Hist. (PHerc. 1018), col. LXI = fr. 1 Van Straaten;<br />

T.1 Alesse. La posizione di Panezio all'interno della tradizione stoica è oggetto di ampio dibattito. Spesso<br />

considerato come un 'innovatore' (Rist (1969), pp. 173-200; Alesse (1997), p. 152) o il promotore di una<br />

riformulazione auto-critica delle dottrine stoiche (Edelstein (1966), pp. 45-70), da considerarsi alla luce<br />

dell'assimilizazione di concetti platonici e aristotelici. Il suo nome è associato alla categoria storiografica<br />

“Stoa di mezzo” [Schmekel (1974 2 )], a significare una fase di riflessione dottrinale distinta rispetto allo<br />

stoicismo antico delle origini, v. Alesse (1994), pp. 16-22. Per un inquadramento che invece pone l'accento<br />

sulle linee di continuità tra lo stoicismo più antico e le posizioni di Panezio, v. Kidd (1955).<br />

532 Van Straaten (1946), 146, 153, sostiene che Panezio è il primo tra gli stoici ad aver pienamente tenuto in<br />

conto le obiezione sollevate da Carneade. In particolare il peculiare impiego di Panezio del concetto di<br />

a)formai/, da intendersi secondo Alesse (1994), p. 23-31 e (1997), p. 183, come predisposizioni alle virtù<br />

fornite dalla natura all'uomo in conformità con la sua natura razionale (cfr. Van Straaten (1946), pp. 140-142;<br />

153-157; Rist (1969), p. 189), risolverebbe i problemi interni al rigorismo morale degli antichi stoici<br />

denunciati da Carneade.<br />

533 v. Alesse (1994), pp. 23-33; 74-83.<br />

534 Stando a quando riporta Giovanni Stobeo (Anth. V, 906-907 Wachsmuth = SVF III 510 = LS 59 I) Crisippo<br />

avrebbe già affrontato la questione dicendo che il compimento di tutti i 'doveri' presso il progrediente arrivato<br />

al punto più alto del suo cammino non è ancora la felicità: « una tale vita non è ancora felice, ma la felicità<br />

sopravviene, quando le stesse azioni intermedie ricevono la sicurezza data dall'abitudine e acquistano una<br />

certa solidità propria (to£n de£ tou/ton bi/on ou)k ei)=nai/ pw fhsi£n eu)dai/mona, a)ll' e)pigi/nesqai au)t= th£n<br />

eu)daimoni/an, o(/tan ai( me/sai pra/ceij au(=tai prosla/bwsi to£ be/baion kai£ e(ktiko£n kai£ i(di/an ph=cin tina£<br />

la/bwsin)». Nel verbo e)pitelei=n del frammento di Archedemo si potrebbe vedere espressa l'idea di stabilità e<br />

fissità richiesta da Crisippo (v. la definizione di katw£rtoma come te/leia kaqh/konta [= perfecta officia], in<br />

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