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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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punto l'appunto 'storico-metodologico' di Cicerone sia pertinente. Si può notare infatti che,<br />

diversamente da quanto succede nelle dispute etiche, l'opinione degli antichi filosofi non<br />

viene invocata a sostegno di nessuno dei dettagli della posizione assunta da Antioco e<br />

riportata da Lucullo. Tuttavia la critica di Cicerone ai 'riferimenti autoritativi' di Antioco può<br />

esser considerata pertinente nella misura in cui la questione dell'infallibilità della conoscenza<br />

si riflette direttamente sul rapporto che il filosofo intrattiene più in generale con l'auctoritas.<br />

Lo schieramento di Antioco a favore del dogmatismo veniva infatti giustificato come un<br />

ritorno alla genuina tradizione academica. Contestare la validità del 'riferimento autoritativo'<br />

di Antioco significa dunque per Cicerone minare le pretese veridiche del suo dogmatismo. Il<br />

risultato di questa strategia argomentativa è quello di allontanare Antioco dalla tradizione<br />

academica per spingerlo tra le braccia di un riluttante stoicismo: privarlo della tradizione a cui<br />

intendeva rifarsi, per incollarlo ad un'autorità che invece non gli interessava realmente far<br />

propria, se non come matrice terminologica o interlocutore filosofico pressoché obbligato.<br />

Lo stesso succede in altri passaggi poco oltre: Cicerone scandaglia autonomamente le tesi<br />

note dei filosofi vetero-academici, per differenziare con precisione le loro posizioni da quelle<br />

dello stoicismo e mettere dunque radicalmente in dubbio il principio storiografico promosso<br />

da Antioco, secondo il quale lo stoicismo deriverebbe legittimamente dal platonismo per<br />

l'intermediario degli insegnamenti di Polemone. La distanza tra i filosofi vetero-academici e<br />

lo stoicismo viene affermata in particolare in merito a:<br />

1) la questione dell'imperturbabilità del saggio: v. Luc. 135: “Sed quaero quando ista<br />

fuerint ab Academia vetere decreta, ut animum sapientis commoveri et conturbari negarent” ;<br />

2) la questione delle prerogative paradossali del saggio, unico re, unico ricco, unico<br />

dotato di bellezza etc. : v. Luc. 136: “sed ubi Xenocrates, ubi Aristoteles ista tetigit? Illi<br />

umquam dicerent sapientes solos reges solo divites solos formosos;”;<br />

3) la questione più generale del rapporto del filosofo con la società che lo circonda: v.<br />

Luc. 137: “Aristoteles aut Xenocrates, quos Antiochus sequi volebat, non dubitavisset quin et<br />

praetor illi esset et Roma urbs et eam civitas incoleret; sed ille noster est plane ut supra dixit<br />

Stoicus perpauca balbutiens”. Quest'ultima questione è come si noterà un diretto corollario<br />

della precedente, ma risente allo stesso modo del contesto epistemologico del testo nel suo<br />

insieme. L'argomentazione implicita del testo infatti suggerisce che, se solo il saggio (a buon<br />

diritto) detiene cariche politiche (“solo il saggio è re”), ciò significa che si deve dubitare che<br />

le cariche politiche effettivamente riscontrabili nella società, poiché conferite in base a criteri<br />

che non sono primariamente quella della saggezza, siano 'reali' o 'legittime'. La tesi stoica si<br />

trasforma allora in una forma di 'scetticismo' eversivo, o meglio, il rigorismo etico stoico, che<br />

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