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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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itaque eas definiunt pressius, ut intelligatur non modo quam vitiosae, sed etiam<br />

quam in nostra sint potestate".<br />

Sembrerebbe in conclusione plausibile che l'espressione, impiegata nel dibattito sul<br />

determinismo, per indicare la necessità di uno spazio di responsabilità per l'uomo,<br />

venga poi rifunzionalizzata nei dibattiti più propriamente etici e in contesti polemici<br />

diversi. La questione della fortuna, come noto, opponeva infatti stoici e peripatetici<br />

nell'ambito più ampio della discussione dell'apporto dei beni esterni alla felicità. La<br />

formula riassumerebbe allora un'argomentazione stoica da inquadrare in origine nella<br />

prospettiva del dibattito sull'autosufficienza della virtù. Dal punto di vista della<br />

scuola peripatetica i beni che contribuiscono alla felicità umana sono classificabili in<br />

tre categorie: i beni dell'anima, i beni del corpo e i beni esterni (v. Alessandro<br />

d'Afrodisia, De anima libri mantissa, 159-168, per una visione d'insieme<br />

sull'arsenale argomentativo peripatetico in polemica con lo stoicismo). In particolare<br />

sui beni esterni, potenzialmente sottoposti al regime del caso e della fortuna, la<br />

dottrina peripatetica si è scontrata con quella stoica.<br />

Cicerone qui alluderebbe ad una strategia argomentativa stoica consistente nel dire<br />

che, accordando ai beni esterni un valore ai fini del conseguimento della felicità, i<br />

peripatetici sottraggono la felicità stessa dall'ambito di ciò che l'agire umano può<br />

ottenere. La formula finisce allora per spostare il valore etico di una azione<br />

all'interno del soggetto, portando l'attenzione sulle sue capacità o disposizioni stabili,<br />

piuttosto che sull'ambito oggettivo dell'agire etico, ovvero sulla disposizione del<br />

soggetto a fare qualcosa, piuttosto che sul contenuto oggettivo di un'azione. Ciò<br />

rispecchia la peculiare prospettiva della scuola stoica, la quale sembra coincidere con<br />

l'esaltazione spinta al paradosso di un criterio etico soggettivo (cfr. Long (1988b), p.<br />

80), sopratutto qualora la si metta a confronto con la propensione peripatetica per<br />

l'ambito oggettivo del comportamento morale dell'uomo.<br />

Si noterà allora che nell'impiego di una tale strategia argomentativa applicata alle<br />

'cose in accordo con la natura' si procede ad un'equiparazione formale tra beni esterni<br />

e ea quae secundum naturam sunt (ta£ kata£ fu/sin). Tuttavia alcuni dubbi possono<br />

essere sollevati sulla legittimità di una tale equiparazione. In base ad essa, ne<br />

consegue che 'le cose in accordo con la natura' sono oggetti di un appetito naturale,<br />

su cui l'uomo non esercita un pieno controllo, ma che si trovano esposte all'influsso<br />

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