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UNIVERSITÉ PARIS-SORBONNE POLEMONE L ... - e-Sorbonne

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Babut (1969), p. 35-39.<br />

Già la prima questione affrontata dal testo interpella direttamente il nucleo fondamentale del<br />

confronto dialettico tra stoici e academici in ambito etico: "è conforme alle nozioni comuni<br />

parlare di accordo con la natura quando si ritiene che le cose che sono conformi alla natura<br />

siano indifferenti?" (1060 B-C); la problematicità dell'etica stoica viene riassunta attraverso la<br />

seguente sintesi paradossale: "la natura ci appropria a delle cose che non sono nè utili nè<br />

buone, mentre ci aliena da quelle che non sono nè cattive nè nocive. (...) La natura è essa<br />

stessa una cosa indifferente, ma la conformità alla natura è il più grande dei beni" (1060 C-D).<br />

In questo modo il testo plutarcheo torna ad insistere, dopo Carneade, Antioco e Cicerone (e<br />

molti altri ancora) sull'incongruenza tra la formula del telos stoico, che prende l'ordine<br />

naturale come modello di riferimento a cui conformarsi, e la dottrina degli adiaphora, per cui<br />

si asserisce che l'unico bene è la virtù e ciò che esula dalla virtù, anche se conforme alle<br />

tendenze naturali, non ha un valore rilevante ai fini del telos e non può esser considerato un<br />

bene.<br />

Come fa notare Babut (2004), già il paragrafo precedente a quello in oggetto (1069 C) chiama<br />

in causa il concetto stoico di homologhia, giocando sul doppio senso del temine come<br />

"accordo" con la natura, ma anche come coerenza della dottrina. Inoltre viene direttamente<br />

menzionato il modo in cui Crisippo giustifica la 'selezione delle cose indifferenti' nell'ambito<br />

delle scelte pratiche dell'uomo, a partire dall'esigenza di prendere come punto di partenza la<br />

natura e la conformità con la natura, asserendo esplicitamente che si tratta di fornire alla virtù<br />

gli strumenti per il suo esercizio. Le critiche all'etica stoica nella sostanza sono le stesse che<br />

sono reperibili anche nei testi ciceroniani, poiché verosimilmente appartenenti ad un retaggio<br />

di tipo academico 623 . La differenza della procedura di Plutarco sta nel ricorrere a citazioni dal<br />

testo di Crisippo per indicare con precisione quali affermazioni del filosofo stoico lo<br />

inchiodano premubilmente alla contraddizione.<br />

Commento<br />

A)<br />

– ’Πόθεν οὖν’ φησίν ‘ἄρξωμαι; v. Plato, Tim. 29 B 2-3: "μέγιστον δὴ παντὸς<br />

ἄρξασθαι κατὰ φύσιν ἀρχήν"; v. Tusc. V, 37: "Unde igitur ordiri rectius possumus<br />

quam a communi parente natura?".<br />

623 v. De Lacy (1953), p. 81-82.<br />

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