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Capitolo 1 “Prematematica” e Matematica antica

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L’Italia sembra insensibile a queste innovazioni: nell’opera “Pratica d’Arithmetica”<br />

(1521!) Francesco Galigai usa le notazioni seguenti:<br />

(l’immagine viene da [Caj]).<br />

8.3.4 Un simbolo riservato all’incognita.<br />

Per l’uso di simboli per le incognite e le potenze delle incognite bisogna<br />

attendere gli inizi del xvi secolo, quando gli autori si riferivano all’incognita<br />

chiamandola “radix”, “res” (cosa in latino), cosa, o coss (cosa in tedesco) per<br />

cui l’algebra prese il nome di “Ars cossica”.<br />

Cardano, nell’Ars magna, chiama l’incognita “rem ignotam”, la x 2 “q[ua]dratu”<br />

e il termine noto “numero” quindi un’equazione di II grado, ad es. x 2 = 4x+32,<br />

diventava “q[ua]dratu aequaetur 4 rebus p:32”.<br />

È curioso (almeno per la nostra intuizione del concetto) osservare che le<br />

potenze dell’incognita erano spesso indicate con dei simboli che non avevano<br />

nulla a che vedere con l’incognita stessa. Il cambiamento più significativo da<br />

questo punto di vista è stata l’opera di Francois Viète. Fu infatti lui il primo ad<br />

utilizzare le lettere anche come coefficienti generali: si rese conto che studiare<br />

un’equazione generale, cioè nella nostra scrittura ax 2 + bx + c = 0, voleva dire<br />

studiare un’intera classe di problemi e non solo un esempio numerico. Nella<br />

sua notazione, la potenza terza di un binomio (a + b) si espandeva come<br />

a cubis + b in a quadr. 3 + a in b quadr. 3 + b cubo æqualia a<br />

+ b cubo.<br />

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