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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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Poesia – Musica – Pittura: <strong>Gualdo</strong> e le Tre Arti sorelle<br />

centi opere francesi e dopo aver sottolineato che quest’influenza era già molto<br />

evidente nei componimenti <strong>di</strong> Tavolozza, <strong>Gualdo</strong> passa poi nel suo articolo ad<br />

esaminare la raccolta praghiana successiva, Penombre (1864), con cui l’autore<br />

“progre<strong>di</strong>va, camminando coraggioso per la strada intravista”, poiché “questo<br />

secondo volume seguiva logicamente il primo”: tuttavia, <strong>di</strong>nnanzi ad esso, con<br />

un rapido voltafaccia, “gli applau<strong>di</strong>tori <strong>di</strong> ieri fischiarono”. 345 Con questi nuovi<br />

versi, <strong>di</strong>fatti, il giovane Praga si era tirato addosso le ire dei pedanti e se, fino ad<br />

allora, i critici più indulgenti avevano bonariamente incoraggiato e perfino sorriso<br />

alle sue stranezze, “ora ch’egli si credeva in <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> continuare, <strong>di</strong> allargare<br />

il proprio orizzonte, essi protestavano”. 346<br />

<strong>Gualdo</strong> descrive con estremo dettaglio le reazioni suscitate dalle poesie <strong>di</strong><br />

Penombre, puntualizzando quali erano stati i testi ed i punti deboli rintracciati<br />

da chi le aveva all’epoca tanto stigmatizzate; dal canto proprio il recensore, elogiando<br />

la lirica de<strong>di</strong>cata a Victor Hugo – “nella quale la casta robustezza della<br />

forma contiene un’onda <strong>di</strong> riverente e intenso affetto” –, mette in luce ciò che<br />

una “critica vera” avrebbe dovuto subito notare, dato che, al momento della<br />

prima pubblicazione, “i <strong>di</strong>fetti reali passarono quasi inosservati” mentre non si<br />

parlò affatto “<strong>di</strong> alcune troppo visibili imitazioni <strong>di</strong> Baudelaire” 347 (che noterà<br />

anche Carlo Dossi, pur non apprezzando né la poesia del francese né quella<br />

dell’italiano). 348 Così, se nel ‘64 alcuni tra i più bei componimenti avevano dato<br />

l’impressione <strong>di</strong> esser parsi quasi invisibili, altre strofe, “come se scritte in lettere<br />

<strong>di</strong> fuoco”, 349 avevano attirato sguar<strong>di</strong> inorri<strong>di</strong>ti da ogni dove. Di conseguenza,<br />

legata all’ostentazione <strong>di</strong> un maledettismo antiborghese che – a detta <strong>di</strong> Paccagnini<br />

– si era manifestata in questa raccolta nella “provocatoria programmaticità<br />

<strong>di</strong> una versificazione orgiastica e dai risvolti satanici”, 350 la risposta del<br />

pubblico tutto era stata piuttosto superficiale, certo dovuta all’impreparazione<br />

dei lettori italiani, i quali (<strong>di</strong>versamente da quelli francesi) si erano <strong>di</strong>mostrati<br />

non ancora pronti ad accogliere un simile tipo <strong>di</strong> poesia. L’unanimità <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>-<br />

345<br />

L. GUALDO, Emilio Praga, cit.<br />

346<br />

Ibidem.<br />

347<br />

Ibidem.<br />

348<br />

Nella Nota Azzurra n. 4648, Dossi riporta la seguente osservazione: “Ho letto Baudelaire,<br />

il poeta dei profumi e delle puzze. Le poesie (Fleurs du mal) mi paiono brutte. […]. Nota<br />

però che il Praga ha evidentemente copiato da lui le sue bruttezze (Cf. anche le frasi, azzurro,<br />

penombre, ecc.), […]”. (C. DOSSI, Note azzurre, cit., p. 576).<br />

349<br />

L. GUALDO, Emilio Praga, cit.<br />

350<br />

E. PACCAGNINI, Dal Romanticismo al Decadentismo. La Scapigliatura, cit., p. 295.<br />

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