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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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Il teatro ottocentesco: attori, drammaturghi, librettisti e plagiari<br />

che lo condannerà a soffrire “torture in<strong>di</strong>cibili” alle quali continuerà a resistere<br />

contrapponendo ad esse “la forza del pensiero” (la più tenace tra le sue energie<br />

vitali), 204 ma la presenza al fianco dell’infermo <strong>di</strong> chi, come Boito, per quasi<br />

trent’anni aveva con<strong>di</strong>viso con lui un intenso rapporto al tempo stesso confidenziale<br />

e culturale, continuerà ad essere costante. I frequenti soggiorni parigini<br />

per motivi lavorativi, in vista, ad esempio, delle messe in scena dell’Otello e del<br />

Falstaff, davano ad Arrigo la possibilità <strong>di</strong> fare spesso visita allo sfortunato amico<br />

che continuava a procrastinare il suo rientro in Italia nella speranza <strong>di</strong> una<br />

guarigione. Come scriveva, infatti, <strong>Gualdo</strong> alla cugina/confidente Giulietta:<br />

“prima <strong>di</strong> farmi sedere, <strong>di</strong> apparire <strong>di</strong> fronte al pubblico lombardo, voglio essere<br />

completamente guarito, ritornare alla vita attiva, camminare solo, riprendere<br />

la mia libertà assoluta <strong>di</strong> mosse, viaggiare tutt’al più con un unico servitore,<br />

[…], vestirmi da me, non essere più schiavo <strong>di</strong> chi mi serve, in una parola sola,<br />

risuscitare per davvero”. 205 Apparire pubblicamente a Milano, nello stato in cui<br />

versava, avrebbe rappresentato un’umiliazione troppo grande per quello spirito<br />

orgoglioso, un tempo viveur e giramondo: al suo capezzale erano ammessi (e<br />

gra<strong>di</strong>ti) soltanto intimi al pari <strong>di</strong> Boito, al quale, anche quando si trovava in<br />

con<strong>di</strong>zioni tali da non esser neppure in grado <strong>di</strong> reggere in mano una penna,<br />

<strong>Gualdo</strong> inviava proprie notizie servendosi <strong>di</strong> un tramite <strong>di</strong> eccezione, l’amico<br />

me<strong>di</strong>co Alberto Barbavara, come <strong>di</strong>mostra una lettera al ragionier Ponti, custode<br />

ed esecutore testamentario dei beni della famiglia <strong>Gualdo</strong>/Litta Mo<strong>di</strong>gnani:<br />

Il mio grande imbarazzo è quando <strong>Gualdo</strong> mi parla del domani, quando mi chiede<br />

verso che tempo sarà guarito, quanto ci sarà prima che possa uscire e poi mettersi in<br />

viaggio per Aix e poi per Milano. Come togliergli l’illusione che gli resta oggi, che gli<br />

dà coraggio, come fare ad allontanare sempre e per sempre il momento in cui non crederà<br />

più alle mie promesse? … E pure bisogna deciderlo, appena si può – e non si osa<br />

sperarlo – col viaggio per Milano. Egli non vuol partire se non ha ricuperato l’uso delle<br />

gambe, e questo mi pare impossibile prima che si sa quanto tempo – e anche in modo<br />

assai problematico e relativo.<br />

Ecco quanto avevo a <strong>di</strong>rle oggi. Comunichi queste notizie a casa Litta e agli amici<br />

Gola e Boito. 206<br />

204 –, Necrologio. <strong>Luigi</strong> <strong>Gualdo</strong>, in «Corriere della sera», 17-18 maggio 1898.<br />

205 Fondo <strong>Gualdo</strong>, Z 80 suss, b.3(27). Nell’intestazione della lettera si legge soltanto, in alto<br />

a destra <strong>di</strong> c.1r, l’in<strong>di</strong>cazione del giorno; tuttavia, dal contesto, essa sembrerebbe del 1895.<br />

206 Ivi, b.5(2). Lettera ine<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> Barbavara a Ponti del 22 maggio 1894. Si tratta <strong>di</strong> un bifolio<br />

in una busta intestata a: “Marchesa Litta Mo<strong>di</strong>gnani / via Pantano, 1 / Milano (Italie)”.<br />

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