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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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L’analisi delle “nuove formole” del romanzo francese<br />

attraverso la vita non vedendo che quanto ne voleva vedere, l’occhio fisso sui<br />

suoi ideali, fedele per partito preso non solo alle sue convinzioni”, il motivo per<br />

quale “tutte le puerilità da lui erette in principii” – “puérilmente il se réfuse”,<br />

affermerà Lecaplain, “à se panche sur l’abîme interieur” 103 –, lo avrebbero condotto<br />

a chiudersi nella <strong>di</strong>gnità, a parlare con magniloquenza “con suo spirito<br />

comparabile solo a quello <strong>di</strong> Rivarol o del principe <strong>di</strong> Ligne” <strong>di</strong> tutto e <strong>di</strong> tutti,<br />

ma a non <strong>di</strong>re una sola parola su <strong>di</strong> sé. Quanto, invece, alla sua crescita artistica,<br />

questo traumatico periodo buio (che <strong>Gualdo</strong> ipotizza avvenuto durante la fase <strong>di</strong><br />

formazione) potrebbe collocarsi alla base dello sviluppo del suo eccezionale potere<br />

<strong>di</strong> analisi e <strong>di</strong> osservazione <strong>di</strong> cui darà prova nelle proprie opere narrative,<br />

una capacità <strong>di</strong> visione, però, leggermente deformata perché gli consentiva <strong>di</strong><br />

vedere “ogni cosa più grande del vero, quasi avesse fissa nell’occhio una lente<br />

da microscopio”. 104 Egli era, insomma, un visionario che:<br />

[…] nella solitu<strong>di</strong>ne della sua stanza, a mille miglia dal mondo reale, non pensava<br />

né al pubblico né al destino delle pagine che accumulava, intento solo nel mettere sulla<br />

carta la sua visione sempre enorme, nel vivere immaginariamente le varie vite tumultuose,<br />

cui l’avara sorte non aveva concesso <strong>di</strong> vivere per davvero. Nella sua mente doveva<br />

senza dubbio confondere talvolta il troppo che aveva sognato col poco che gli era<br />

accaduto nella sua esistenza in gran parte monotona. 105<br />

E Barbey era in gran parte consapevole del mélange tra vita reale e finzione<br />

narrativa messa in atto nei propri lavori 106 se nella prefazione a Les <strong>di</strong>aboliques<br />

aveva parlato della presenza nel suo immaginario letterario <strong>di</strong> una surréalité,<br />

fatta <strong>di</strong> surnaturel humanisé e <strong>di</strong> réalité tranfigurée (certo apprezzata dall’italiano,<br />

in parte anche aderendovi nelle sue prime novelle), 107 quella commistione<br />

103<br />

F. LECAPLAIN, Réalité et surnaturel dans l’œuvre de Barbey d’Aurevilly, in appen<strong>di</strong>ce<br />

a J.-H. BORNECQUE, Paysages extérieurs et monde intérieur dans l’œuvre de Barbey<br />

d’Aurevilly, Caen, Publications de la faculté des Lettres et Sciences Humaines, 1968, p. 58.<br />

104<br />

L. GUALDO, Barbey d’Aurevilly, cit., p. 2.<br />

105<br />

Ibidem.<br />

106<br />

Cfr. A. DE GEORGES-MÉTRAL, Les illusions de l’écriture ou la crise de la représentation…,<br />

cit., p. 341: “Dans la vie de l’auteur, la mise en scène des valeurs est de la même<br />

nature que leur inscription dans les textes romanesques”.<br />

107<br />

Si pensi soprattutto a testi come La canzone <strong>di</strong> Weber o Una scommessa, pubblicati<br />

nella raccolta La Gran Rivale e altri racconti del 1877. Sulla presenza del fantastico e del soprannaturale<br />

nelle novelle gual<strong>di</strong>ane si veda A. D’ELIA, Contaminazione, morte e redenzione<br />

nella Canzone <strong>di</strong> Weber <strong>di</strong> <strong>Luigi</strong> <strong>Gualdo</strong>, cit., pp. 45-71 e R. BRAGANTINI, Momenti musicali<br />

<strong>di</strong> un racconto dell’Ottocento, cit., pp. 993-1005.<br />

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