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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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Tra carteggi e recensioni: <strong>Gualdo</strong> e i romanzieri italiani<br />

lo stesso cielo che pochi anni più tar<strong>di</strong>, nelle pagine <strong>di</strong> Decadenza, lascerà a<br />

bocca aperta Carlo e Isabella (fratello e moglie dell’aspirante politico, questa<br />

volta gual<strong>di</strong>ano, Paolo Renal<strong>di</strong>, che, invece, nella sua pochezza <strong>di</strong> spirito a quel<br />

cielo non presterà alcuna attenzione) e verrà anche qui nuovamente definito<br />

“più largo <strong>di</strong> tutti li altri cieli”, sebbene questa volta non sarà più caldo e calmo,<br />

bensì “basso e pesante sulla terra”, 240 quasi a sottolineare la <strong>di</strong>versa atmosfera<br />

che domina i due romanzi.<br />

Con la dovuta eccezione della capitale, ogni altro paesaggio descritto da<br />

Fogazzaro (non solo in quest’opera) appare sempre collocabile all’interno <strong>di</strong><br />

una sorta <strong>di</strong> hortus conclusus, <strong>di</strong> un mondo limitato, legato, come afferma<br />

Giorgio De Rienzo, “alla propria personale esperienza” 241 e pertanto ben lontano<br />

dai sempre mutevoli orizzonti e panorami della vita, ma anche della narrativa<br />

dell’autore milanese, che spazia da Roma a Venezia, da Milano a Parigi, da<br />

Nizza ad Aix, da Roma a Madrid e giunge persino in Inghilterra (quando non si<br />

addentra in luoghi onirici, veri e propri labirinti ideati dalla mente dei suoi personaggi).<br />

Tuttavia ciò che maggiormente pare colpire <strong>Gualdo</strong> dei paesaggi fogazzariani<br />

non sono i luoghi in sé, quanto piuttosto la modalità descrittiva, la<br />

concisione con cui il narratore del Daniele Cortis è in grado <strong>di</strong> imprimere nel<br />

lettore l’impressione indelebile <strong>di</strong> quei posti, come se la sua penna tracciasse<br />

sulla pagina rapide pennellate che delineano ambientazioni non reali, ma neppure<br />

ideali; forse il nostro critico li avrebbe definiti paesaggi a metà strada tra<br />

l’uno e l’altro mondo, come le immagini che percepiscono molti suoi personaggi<br />

quando, con una certa consuetu<strong>di</strong>ne, precipitano in uno stato <strong>di</strong> rêverie senza<br />

fine. In effetti c’è stato chi ha parlato, a proposito delle descrizioni realizzate da<br />

Fogazzaro, <strong>di</strong> un colorismo pittorico che per leggerezza <strong>di</strong> frase sembra in molte<br />

occasioni riecheggiare le settecentesche (e altrettanto venete) tele del Tiepolo,<br />

242 forse proprio perché questo artista sofisticato e iperbolico è stato autore <strong>di</strong><br />

scene che evocano un mondo <strong>di</strong>latato all'infinito e fittizio, reso da una tavolozza<br />

cromaticamente squillante e da una luce fredda e irreale, creata usando un tono<br />

argenteo che si riflette dagli oggetti come dalle figure, le quali, in tal modo,<br />

sembrano perdere ogni consistenza plastica.<br />

Nella seconda parte dell’analisi gual<strong>di</strong>ana l’attenzione del critico si focalizza<br />

nuovamente sull’epilogo del Daniele Cortis: è questo un romanzo, a sua det-<br />

240 ID., Decadenza, in Romanzi e Novelle, cit., p. 1015.<br />

241 G. DE RIENZO, Fogazzaro e l’esperienza della realtà, Parma, Silva, 1967, p. 15.<br />

242 E. SICILIANO, Prefazione ad A. FOGAZZARO, Daniele Cortis, cit., p. 8.<br />

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