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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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Poesia – Musica – Pittura: <strong>Gualdo</strong> e le Tre Arti sorelle<br />

daga, analizza e commenta con gran<strong>di</strong>ssima luci<strong>di</strong>tà il cambiamento <strong>di</strong> gusto<br />

del pubblico italiano. Il successo della ristampa delle una volta tanto <strong>di</strong>scusse<br />

liriche praghiane costituisce infatti per <strong>Gualdo</strong> uno spunto utilissimo per trattare<br />

il tema dell’avvento <strong>di</strong> un tempo nuovo, <strong>di</strong> un’epoca in cui gli sperimentatori<br />

(che affiancano i metri moderni alle severe cadenze delle strofe arcaiche, in<br />

nome <strong>di</strong> una poesia che, “infranti i vincoli […] vola libera nell’azzurro”) non<br />

vengono più visti con troppi pregiu<strong>di</strong>zi e la letteratura italiana si avvicenda finalmente,<br />

seppur con lentezza, a quella d’oltralpe, dove già da molto – ed è qui<br />

chiaro il riferimento ai parnassiens – classicismo e realismo convivono in un<br />

eclettismo da cui sgorga la modernità e dove persino “attraverso Victor Hugo”<br />

rivive il latino Lucrezio. Moderni e pagani, i poeti della nuova generazione non<br />

ricevono più rifiuti dai loro stampatori perché – <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re se <strong>Gualdo</strong> affermi<br />

ciò con ammirazione o se, piuttosto, spinto da un sentimento critico nei confronti<br />

<strong>di</strong> un’industria e<strong>di</strong>toriale che, senza fare selezione, si avviava alla massificazione<br />

– “l’onore <strong>degli</strong> elzeviri attende tutti i versi”, dei giovani e dei vecchi,<br />

dei morti e dei “finti morti risuscitati – e puranco quelli dei finti vivi”. 356<br />

Alle soglie <strong>degli</strong> anni Ottanta, anche il pubblico femminile è <strong>di</strong>ventato più<br />

spregiu<strong>di</strong>cato; “le belle lettrici”, scrive <strong>Gualdo</strong>, “e anche le brutte”, sono <strong>di</strong>venute<br />

meno rigide e maggiormente <strong>di</strong>sinvolte: “alcune che rifiutavano d’essere<br />

giovani per non applau<strong>di</strong>re Praga, cercano ora <strong>di</strong> ri<strong>di</strong>ventarle recitando Stecchetti”.<br />

357 La lode dei successori dell’opera praghiana <strong>di</strong>venta, così, un mezzo<br />

per esaltarne il predecessore; gli elogi che toccano finalmente Penombre sono<br />

ormai talmente intensi che lo stesso Praga, se “nella sua tomba potesse sentire<br />

gli applausi rivolti agli altri, sorriderebbe lieto in nome dell’arte”. 358 L’immagine<br />

del corpo del poeta defunto che resta ignaro della reazione del pubblico<br />

inesperto perché ignorante, in grado <strong>di</strong> riconoscere i meriti artistici soltanto dopo<br />

la morte, quasi che sugli scrittori più all’avanguar<strong>di</strong>a gravi incon<strong>di</strong>zionata la<br />

pena <strong>di</strong> un riconoscimento per necessità postumo, è un tema che ritorna (essendo<br />

sentito dal critico anche per ragioni autobiografiche) nuovamente in relazione<br />

a Emilio Praga nel componimento de<strong>di</strong>catogli dallo stesso <strong>Gualdo</strong>. La poesia<br />

XXX<strong>II</strong>I delle sue Nostalgie è una sorta <strong>di</strong> tombeau commemorativo in onore<br />

dell’autore <strong>di</strong> Penombre dove l’ultima strofa, in particolare, sembra configurarsi<br />

come la volontà <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re quanto egli aveva già denunciato nell’ap-pen<strong>di</strong>ce<br />

356 Ibidem.<br />

357 Ibidem.<br />

358 Ibidem.<br />

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