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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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Nella Roma bizantina: contatti letterari e collaborazioni e<strong>di</strong>toriali nella capitale<br />

fornisce nessuna ulteriore spiegazione circa eventuali spiacevoli episo<strong>di</strong> avvenuti<br />

in città che potrebbero essere a monte della sua decisione, ma la sua affermazione<br />

relativa ad un non ritorno appare piuttosto categorica, tanto più che i<br />

luoghi da cui partono tutte le sue successive lettere finora documentate sembrano<br />

confermare l’attuazione del proposito.<br />

A questo punto, una volta stabilito l’arco cronologico all’interno del quale<br />

si possono collocare i voyages printaniers <strong>di</strong> <strong>Gualdo</strong> nella capitale italiana, è<br />

possibile stabilire con una certa sicurezza che il primo incontro con il giovanissimo<br />

d’Annunzio – lo studente che Scarfoglio, sdraiato nelle se<strong>di</strong> del «Capitan<br />

Fracassa», ricorda come “quel piccolino con la testa ricciuta e gli occhi dolcemente<br />

femminili che mi nominò e nominò se stesso con inflessione <strong>di</strong> voce anch’essa<br />

muliebre” 11 – sia avvenuto in questo lasso <strong>di</strong> tempo (1882-1886) e, anzi,<br />

si aggiungerà, che risulta altamente probabile che la conoscenza <strong>di</strong>retta tra i<br />

due abbia avuto luogo entro il 1885, anno durante il quale propenderei per datare<br />

la stesura del sonetto dannunziano de<strong>di</strong>cato a <strong>Gualdo</strong>. Il “breve schizzo, quasi<br />

impressionista”, 12 come lo ha definito Elisabetta de Troja, è un ritratto che<br />

combacia a pennello con l’immagine da molti tramandata del milanese: d’Annunzio<br />

<strong>di</strong>pinge l’elegante dandy mentre, in sua compagnia, affascina con lenta e<br />

accattivante conversazione gli astanti <strong>di</strong> un ippodromo, identificabile come Le<br />

Capannelle; 13 tra effluvi <strong>di</strong> the e rossi fantini al galoppo, in un clima decisamente<br />

cosmopolita in cui sembrerebbero prevalere le presenze anglosassoni, l’immagine<br />

del poeta bilingue “è una sottile ironia sull’affabulazione incantatrice <strong>di</strong><br />

<strong>Gualdo</strong>”, 14 nonché sul suo prezioso gusto nel vestire, certamente apprezzato dal<br />

pescarese (parte dell’attenzione è infatti incentrata su uno smeraldo, forse un<br />

fermacravatta, che non può non far pensare alla spilla <strong>di</strong> turchesi che il milanese<br />

lascerà, tra le altre cose, in ere<strong>di</strong>tà all’amico).<br />

Non essendo compreso neppure all’interno della raccolta delle Poesie sparse<br />

dannunziane, il sonetto in questione rappresenta uno dei testi meno conosciuti<br />

del “<strong>di</strong>vino Gabriele” – per ricorrere all’espressione con cui <strong>Gualdo</strong> era solito<br />

11<br />

E. SCARFOGLIO, Il libro <strong>di</strong> Don Chisciotte, Roma, Sommaruga, 1885, p. 196.<br />

12<br />

E. DE TROJA, <strong>Luigi</strong> <strong>Gualdo</strong> e d’Annunzio, cit., p. 166.<br />

13<br />

<strong>Gualdo</strong> doveva apprezzare le corse dei cavalli e frequentarle <strong>di</strong> tanto in tanto, come si<br />

evince – oltre che dal sonetto in questione – da una lettera ine<strong>di</strong>ta (inviata da Parigi e risalente<br />

al 1886) a Vittoria Cima in cui egli afferma: “Ho manifestato i miei gusti letterari andando un<br />

paio <strong>di</strong> volte all’Hippodrome e al Cirque”. Fondo Vittoria Cima, c.3.b.40(15).<br />

14<br />

E. DE TROJA, <strong>Luigi</strong> <strong>Gualdo</strong> e d’Annunzio, cit., p. 166.<br />

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