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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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L’analisi delle “nuove formole” del romanzo francese<br />

na <strong>di</strong> lingua, l’assenza <strong>di</strong> qualsiasi parola soverchia od impropria, la chiarezza<br />

suprema, la severa giustezza dell’epiteto rarissimo, la sobrietà scultorea <strong>degli</strong><br />

aggettivi, l’uniformità del colorito e la intensa varietà del tocco, la concisione,<br />

la sonorità del periodo, tutti i raffinamenti delle armonie imitative, dei contrasti,<br />

delle <strong>di</strong>ssonanza sapienti. Non esiste <strong>di</strong> lui una pagina dove sia possibile cambiare<br />

<strong>di</strong> posto una virgola. Ciò che lascia è definitivo. La sua prosa ha il carattere<br />

dell’immutabilità proprio dei versi dei gran<strong>di</strong> poeti”. 50<br />

Proust <strong>di</strong>rà, nel celebre saggio de<strong>di</strong>cato allo stile dell’Éducation sentimentale,<br />

che la prosa <strong>di</strong> Flaubert lo aveva da sempre affascinato poiché possedeva<br />

una “beauté grammaticale” che nulla aveva a che vedere con la “correction”,<br />

una bellezza che, proprio come aveva notato <strong>Gualdo</strong>, era “de ce genre que Flaubert<br />

devait accoucher laborieusement”. 51 Inoltre, essendo il romanziere francese<br />

un “osservatore infallibile delle regole supreme dello scrivere”, 52 egli aveva finito<br />

per aggiungervene altre per suo conto, “applicando alla prosa alcune delle<br />

<strong>di</strong>fficoltà della versificazione”; pur non avendo mai avuto, al pari <strong>di</strong> Balzac,<br />

della Sand o <strong>di</strong> Zola, il dono <strong>di</strong> comporre anche versi (“ma quali vincoli voleva<br />

per il romanzo, oltre le immagini giuste, le metafore esatte!”) 53 Flaubert era alfine<br />

<strong>di</strong>venuto – per riba<strong>di</strong>re, ancora una volta, le parole <strong>di</strong> <strong>Gualdo</strong> con quelle <strong>di</strong><br />

Borges – l’Omero del romanzo dacché suo intento non era mai stato riprendere<br />

o cercare <strong>di</strong> superare un modello precedente, ma sempre e soltanto quello <strong>di</strong><br />

pensare che ogni cosa può <strong>di</strong>rsi in un solo modo e che “l’obbligo dello scrittore<br />

è trovare quel modo”. 54 Egli è stato colui che ha fondato – per <strong>di</strong>rla con Barthes<br />

– una “écriture artisanale” (in relazione alla quale il critico francese ha coniato<br />

il termine flaubertisation) ovvero un art in cui la forma espressiva non si limita<br />

ad avere un valore d’uso, bensì si carica del pesante fardello <strong>di</strong> essere un “valeur-travail"<br />

perché, cominciando la letteratura a necessitare <strong>di</strong> una giustifica-<br />

50<br />

Ibidem.<br />

51<br />

M. PROUST, À propos du “style” de Flaubert, in «Nouvelle Revue Française», janvier<br />

1920, rist. moderna in ID., Écrits sur l’art, cit., pp. 314-329 (la citazione è presa da p. 315).<br />

52<br />

L. GUALDO, Gustave Flaubert, cit.<br />

53<br />

Ibidem.<br />

54<br />

J. L. BORGES, Flaubert e il suo destino esemplare, cit., p. 409. Perfetta la sintonia con<br />

le considerazioni gual<strong>di</strong>ane, specialmente quando sostiene che Flaubert sempre cercò – con<br />

quella che egli definisce una vera e propria “superstizione del linguaggio” – il bello in ciò che è<br />

preciso, esatto, giusto, eufonico, armonico e che “con lunga integrità inseguì il mot juste, il quale<br />

ovviamente non escludeva il luogo comune, e poi sarebbe degenerato nel vanitoso mot rare<br />

dei cenacoli simbolisti” (ibidem).<br />

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