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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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Il teatro ottocentesco: attori, drammaturghi, librettisti e plagiari<br />

stocratica vita rifugiandosi in incognito in Spagna; nel descrivere l’abitazione –<br />

un tempo della sua nuova compagna, Paquita – <strong>di</strong> cui Giorgio <strong>di</strong> Westford sta<br />

per prendere possesso, <strong>Gualdo</strong> si richiama in maniera esplicita al mefistofelico<br />

ciclo goethiano e lo fa proprio quando – attraverso l’uso dell’immaginazione, in<br />

<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un mondo <strong>di</strong> sogno evasivo ed alternativo alla realtà – il non più<br />

nobile personaggio sta per effettuare il suo primo ingresso all’interno della casa,<br />

ovvero proprio nel momento in cui è sul punto <strong>di</strong> attuarsi, nella <strong>di</strong>namica della<br />

novella, il “ritorno ad un mitico passato”: 168<br />

Pensate all’impressione <strong>di</strong> Faust che per la prima volta entra nella stanza <strong>di</strong> Margherita;<br />

invece della semplicità tedesca imaginate il pittoresco spagnolo, invece<br />

dell’arcolaio un lavoro in lana a colori vivacissimi e una ghitarra; invece del letticciolo<br />

bianco, dei mobili lucenti e dello specchietto accuratamente ripulito dell’eroina <strong>di</strong> Goethe,<br />

un’alcova semichiusa da una tenda <strong>di</strong> lana bruna e rossa, nell’ombra dalla quale si<br />

travede una palma, una Madonna ed una candela benedetta; […]. 169<br />

Il richiamo a Goethe prosegue, poco oltre, nella descrizione dell’emozione<br />

che spinge Giorgio – “provava per Paquita una passione capricciosa, ma forte e<br />

non mai provata. Se Mefistofele gli fosse stato vicino gli avrebbe detto come<br />

Faust: «Ve<strong>di</strong> quella fanciulla? Io la voglio»” 170 – verso la giovane donna spagnola.<br />

Se letta alla luce delle affermazioni espresse nella recensione all’opera <strong>di</strong><br />

Boito (Fausto è l’uomo che cerca alla scienza e all’arte il vero e lo trova nel<br />

bello), l’insistenza da parte del narratore su questo mito come frequente termine<br />

<strong>di</strong> paragone all’interno <strong>di</strong> una novella, e più in generale <strong>di</strong> una raccolta, in cui<br />

l’Arte e il Bello (soprattutto in Narcisa) assumono quasi una funzione salvifica<br />

rispetto alla trivialità della vita quoti<strong>di</strong>ana, risulterebbe decisamente avvalorata<br />

la tesi sostenuta da Giovanna Rosa, secondo la quale il recupero da parte alcuni<br />

esponenti della bohème ambrosiana tardottocentesca – <strong>Gualdo</strong> e Dossi in primis<br />

– <strong>di</strong> quel “patrimonio <strong>di</strong> temi e figure caro all’oltranzismo romantico” non è fine<br />

a se stesso, ma ha in realtà per scopo la “riven<strong>di</strong>cazione dell’autonomia artistica”<br />

e la “esaltazione della fantasia inventiva” in chiara opposizione all’affermarsi<br />

del metodo scientifico applicato dai naturalisti anche all’ambito letterario<br />

e alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> un “clima positivo” ra<strong>di</strong>catosi a tal punto in quegli anni nel<br />

mondo della carta stampata che ad<strong>di</strong>rittura alcune delle maggiori case e<strong>di</strong>trici<br />

168 Ibidem.<br />

169 L. GUALDO, Il viaggio del Duca Giorgio, in Romanzi e Novelle, cit., p. 89.<br />

170 Ivi, p. 97.<br />

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