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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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L’analisi delle “nuove formole” del romanzo francese<br />

maliati da “quella scherma abilissima della polemica nel sostenere le più paradossali,<br />

retrograde e feroci teorie, spesso le idee più illogiche”. 97 Una ricerca <strong>di</strong><br />

veste formale, insomma, quella del francese, che ben si concilierà in seguito<br />

con la pre<strong>di</strong>lezione per i paradossi ed il desiderio <strong>di</strong> sorprendere manifestati nei<br />

più tar<strong>di</strong>vi scritti romanzeschi. 98 Eppure lo stile così eccezionalmente tagliente<br />

non era prerogativa soltanto della sua penna: il critico, che lo aveva ben conosciuto<br />

<strong>di</strong> persona, ci svela una curiosità degna <strong>di</strong> nota, ovvero che in nessun altro<br />

essere umano <strong>di</strong> sua conoscenza la parola scritta e la parlata sarebbero potute<br />

essere mai tanto simili quanto in lui. Un pregio, certo, ma anche una caratteristica<br />

che ancora una volta serve a <strong>Gualdo</strong> per mettere in evidenza la confusione<br />

tra il piano della vita e quello della finzione giacché, similmente a quanto<br />

era solito fare nei suoi romanzi, Barbey d’Aurevilly amava sostenere brillanti<br />

conversazioni in cui era palese la sua autoproiezione in un mondo immaginario,<br />

finendo per spacciare come reali aneddoti <strong>di</strong> pura sua invenzione alla cui veri<strong>di</strong>cità<br />

però, riba<strong>di</strong>sce il recensore, egli credeva fermamente:<br />

E nel pro<strong>di</strong>gioso suo conversare, che non poté essere <strong>di</strong>menticato da nessuno che<br />

abbia avuto la fortuna <strong>di</strong> u<strong>di</strong>rlo, il vero e l’immaginario si mescolavano, e certo egli<br />

stesso non sarebbe riuscito a <strong>di</strong>stinguerli. Nei suoi infiniti aneddoti alla Munchausen –<br />

nei quali non si ripeteva mai – nei ricor<strong>di</strong> suoi innumerevoli, nelle frequenti citazioni <strong>di</strong><br />

versi e <strong>di</strong> prosa dovute alla sua sorprendente memoria, egli era sempre sincero, fantasticamente<br />

convinto. Non cre<strong>di</strong>amo che in nessun altro la parola scritta e la parlata sia<br />

stata mai tanto simile quanto in lui. Leggendo forte una sua pagina pare <strong>di</strong> u<strong>di</strong>rlo parlare<br />

con quella sua voce profonda e squillante; una conversazione stenografata sembrerebbe<br />

un brano <strong>di</strong> un suo libro. 99<br />

Gli stu<strong>di</strong>osi contemporanei si sono a lungo soffermati sull’importanza dell’ambiguità<br />

nei testi del Connestabile; come sempre lungimirante, <strong>Gualdo</strong> è stato<br />

tra i primissimi ad avvertire i lettori italiani che nelle opere aurevilliane non<br />

doveva leggersi alcun manicheismo e che, anzi, quella presunta dualità rientrava<br />

alla perfezione nel suo “sistema”, ne rappresentava una peculiarità fondante<br />

perché, attraverso il continuo oscillare tra limiti non ben definiti, Barbey aveva<br />

trovato il suo personalissimo modo per legare (facendoli sfociare l’uno nell’al-<br />

97 Ibidem.<br />

98 Cfr. A. DE GEORGES-MÉTRAL, Les illusions de l’écriture ou la crise de la représentation<br />

dans l’œuvre romanesque de Barbey d’Aurevilly, Paris, Champion, 2007.<br />

99 L. GUALDO, Barbey d’Aurevilly, cit., p. 2.<br />

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