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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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L’analisi delle “nuove formole” del romanzo francese<br />

dell’uomo e del personaggio pubblico Flaubert, che viene presentato ai lettori<br />

nostrani come un uomo “alto, forte, grosso, massiccio”, dalla “testa possente”,<br />

il profilo regolare, la bocca nascosta da folti baffi biondo-grigi, gli occhi penetranti,<br />

scrutatori, <strong>di</strong> color celeste” e al tempo stesso come un curioso signore<br />

che, pur avendo “qualcosa <strong>di</strong> militare, <strong>di</strong> burbero, nell’aspetto e nel portamento”<br />

e una “parola troppo libera, rabbiosa”, sapeva poi farsi ben volere da tutti<br />

grazie alla “dolcezza del sorriso” e alla “trasparente bontà dell’animo suo”. 14<br />

La descrizione gual<strong>di</strong>ana continua con la rappresentazione <strong>di</strong> alcune scene<br />

<strong>di</strong> vita parigina, <strong>di</strong> momenti in cui l’italiano aveva scorto il suo autore pre<strong>di</strong>letto<br />

mentre sbuffava lamentando il troppo caldo “la sera, senza soprabito, gesticolando<br />

sulla porta d’un teatro, coi suoi calzoni larghissimi in alto e stretti sul collo<br />

del piede, ed il cappello obliquamente posto in capo”, oppure quando incominciava<br />

a gridare “come un ossesso, acceso in viso, furibondo nel sostenere<br />

qualche tesi <strong>di</strong>letta, apostrofando gli avversari con in<strong>di</strong>cibile violenza”. In effetti,<br />

dopo aver narrato della <strong>di</strong>screzione che aveva contrad<strong>di</strong>stinto Flaubert in ogni<br />

occasione, 15 <strong>Gualdo</strong> rende partecipe il suo pubblico proprio dell’inclinazione<br />

del francese a comunicare (e lavorare) ricorrendo ad un tono <strong>di</strong> voce alto:<br />

Amava parlar forte. Una delle sue teorie era questa, che per ben giu<strong>di</strong>care della<br />

propria prosa, bisogna leggere ogni pagina ad alta voce – la gueuler! esclamava lui – e<br />

che certo non vale nulla se non resiste a tal prova, né l’effetto ne rimane scemato. Chi<br />

abitava vicino a lui s’accorgeva che egli lavorava udendolo <strong>di</strong> tanto in tanto urlare declamando.<br />

Spesso solo nella sua stanza, vociava qualche frammento <strong>di</strong> Bossuet o Chateubriand,<br />

tanto per sentire la nobile cadenza dei gran<strong>di</strong> perio<strong>di</strong>. 16<br />

I lettori del «Pungolo» dovevano, <strong>di</strong> certo, restare affascinati dai racconti<br />

del giovane milanese, intimo dei più gran<strong>di</strong> dell’epoca sua (<strong>di</strong> cui al <strong>di</strong> qua delle<br />

scritte col suo fedele amico Bouilhet, morto nel 1872 e per il volume <strong>di</strong> versi postumi del quale,<br />

egli scrisse la stupenda e commovente prefazione delle Dernières Chansons. Di codesto insuccesso<br />

sulla scena Flaubert soffriva forse più che non apparisse, come soffrì Balzac, come altri<br />

soffrono ora. Il loro ingegno non è <strong>di</strong> quelli che si possono mettere in comunicazione <strong>di</strong>retta col<br />

pubblico”.<br />

14 Ibidem.<br />

15 A proposito dell’ultimo periodo della vita <strong>di</strong> Flaubert, <strong>Gualdo</strong> racconta che “Era ricco <strong>di</strong><br />

casa sua e assai generoso: però da due anni pressoché rovinato, avendo perduto quasi tutte le<br />

sue sostanze nell’aiutare una nipote da lui amatissima, il cui marito aveva fatto cattivi affari e<br />

che lui aveva salvato. Ma <strong>di</strong> ciò non parlava mai”.<br />

16 L. GUALDO, Gustave Flaubert, cit.<br />

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