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Luigi Gualdo - FedOA - Università degli Studi di Napoli Federico II

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Il teatro ottocentesco: attori, drammaturghi, librettisti e plagiari<br />

Durante gli spettacoli tenutisi a Milano il <strong>di</strong>vo è riuscito a perseguire i migliori<br />

risultati nei panni <strong>di</strong> Romeo (mostrando tale naturalezza nel colloquio col<br />

frate da farlo apparire “un dramma moderno”) e nell’Otello (dove ha pianto e<br />

ruggito “in modo che tutti gli astanti soffrono con lui”): in questi due ruoli egli<br />

è stato in grado <strong>di</strong> riempire da solo il palcoscenico, idolatrato dalla folla “più<br />

pronta <strong>di</strong> quello che si potrebbe ad accendersi per il Bello”. 1 Alla grandezza del<br />

primo attore – e, naturalmente, proprio per far esaltarla – corrispondeva il basso<br />

profilo <strong>degli</strong> altri interpreti, tanto che l’articolista si esprime in termini analogamente<br />

critici <strong>di</strong>nnanzi ad entrambi i bacini <strong>di</strong> suoi lettori, parlando, da una<br />

parte, <strong>di</strong> “attori me<strong>di</strong>ocri” 2 e, dall’altra, della “insuffisance des autres acteurs”;<br />

questo spunto gli fornisce l’occasione per trattare, in tutti e due gli interventi, <strong>di</strong><br />

quale sarebbe “l’idéal que nous nous faisons de la représentation des drames de<br />

Skakspeare”, 3 vale a <strong>di</strong>re “una compagnia <strong>di</strong> attori tutti egualmente eccellenti,<br />

intenti solo a bene interpretare il pensiero dell’autore, senza curarsi <strong>di</strong> brillare<br />

in<strong>di</strong>vidualmente; scenari completi, costumi esatti e sontuosi”, 4 mentre, al contrario,<br />

la drammaturgia italiana prevedeva ancora che gli spettatori (comunque<br />

fortunati nel poter ammirare siffatta qualità <strong>di</strong> eccellenti “prim’in-terpreti”) dovessero<br />

“accontentarsi <strong>di</strong> veder la figura principale sorgere […] illuminata da<br />

tutta la luce, rendendo omaggio all’artista che sa realizzare, solo e malgrado tutto,<br />

quei tipi eterni così potentemente creati dal poeta che ne sembrano veri<br />

d’una verità ancora più intensa che quella della vita stessa”. 5<br />

Ernesto Rossi, che era nato a Livorno nel 1827 da famiglia borghese, all’epoca<br />

<strong>degli</strong> interventi gual<strong>di</strong>ani, aveva quasi cinquant’anni: nel 1845, in attesa<br />

<strong>di</strong> iscriversi all’università, aveva sostituito un attore ammalato della compagnia<br />

Calloud, finendo per essere regolarmente scritturato come amoroso per l’anno<br />

successivo; qui, sotto l’insegnamento del celebre Gustavo Modena, aveva impa-<br />

1<br />

Ibidem. Analogamente, nell’articolo comparso su «Le Théâtre», si legge che Rossi “sait<br />

de telle sorte réaliser le Beau, que les plus ignorants restent ébluois”, in riferimento “aux publics<br />

italiens” ID., Correspondance étrangères…, cit., p. 152).<br />

2<br />

ID., Ernesto Rossi, cit., p. 91.<br />

3<br />

ID., Correspondance étrangères, Représentations de M. Ernesto Rossi, cit., p. 153.<br />

4<br />

ID., Ernesto Rossi, cit., p. 91.<br />

5<br />

Ibidem. Si tratta <strong>di</strong> una delle prime occasioni in cui viene apertamente espressa la concezione<br />

secondo cui la vita nell’arte è preferibile e più vera <strong>di</strong> quella reale: con un’espressione del<br />

tutto simile a quella appena citata, <strong>Gualdo</strong> si riferirà, nel 1891, alle vicende dei personaggi del<br />

romanzo <strong>di</strong> Capuana Il profumo, i quali “vivono della vita dell’arte, più vera della stessa realtà”<br />

(ID., Cronache letterarie. Il profumo, cit.).<br />

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