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tesi G. Basile.pdf - EleA@UniSA - Università degli Studi di Salerno

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L’espressione «alquanto surga» che in Dante in<strong>di</strong>ca la necessità che l’aiuto <strong>di</strong><br />

Calliope sia anche maggiore <strong>di</strong> quello delle altre Muse, nello Scervini <strong>di</strong>venta<br />

esortazione ad alzarsi: o Caliopea, susati ’n fretta. Ma nella terzina successiva viene<br />

espresso il doloroso stupore delle Piche, sottolineato dall’aggettivo abbabati, che<br />

rende con un po’ <strong>di</strong> umorismo meraviglia e terrore. Ciò evidenzia la vittoria del<br />

<strong>di</strong>vino sull’umano, o meglio le ambizioni umane mortificate perché prive dell’aiuto<br />

<strong>di</strong>vino.<br />

E l’espressione «agli occhi miei ricominciò <strong>di</strong>letto» esprime il sentimento che<br />

prova l’anima per il ritorno alla luce, alla certezza <strong>di</strong> giungere alla beatitu<strong>di</strong>ne. Nella<br />

traduzione dello Scervini si osserva la luminosità e l’ampiezza dell’orizzonte, ottenute<br />

con una similitu<strong>di</strong>ne non presente in Dante:<br />

’Nversu Orienti ’nu culuru chiaru<br />

durci, serenu, furmannu si nni jia<br />

cumu de notti ’na linterna a maru.<br />

(Pg. I, 13-15)<br />

Si ha il senso dell’infinito, del mistero: una lampara montata su una barca, nel<br />

cuore della notte, <strong>di</strong>ffonde gradatamente la luce. La descrizione della gioia del cielo<br />

per la luce delle quattro stelle è resa in modo molto efficace:<br />

Lu cielu nni godìa dde li fajilli<br />

tu chi sta’ a tramuntana, orba rivera,<br />

tu sì privata de vidari chilli.<br />

(Pg. I, 25-27)<br />

Fajilli significa ‘scintille’; orba rivera è un vocativo e in<strong>di</strong>ca ‘luogo privo <strong>di</strong><br />

luce’. Infatti, viene sottolineato il senso <strong>di</strong> privazione che l’emisfero boreale prova<br />

per la mancanza della luce delle quattro stelle: esse rappresentano le quattro virtù<br />

car<strong>di</strong>nali possedute dai nostri progenitori, Adamo ed Eva, ma perdute in seguito<br />

al peccato originale e riconquistabili dal singolo sul piano personale.<br />

Nella traduzione dello Scervini l’apparire <strong>di</strong> Catone nulla perde della sua<br />

solennità, peraltro, viene aggiunto un tocco personale del suo aspetto, determinato dai<br />

movimenti decisi della mascella, che provocano l’ondeggiare della barba:<br />

chi siti vua, chi de lu jumu scuru<br />

scansatu aviti la prigiuna terna?»<br />

– <strong>di</strong>ssi, muviennu la varba sicuru. –<br />

(Pg. I, 40-42)<br />

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