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tesi G. Basile.pdf - EleA@UniSA - Università degli Studi di Salerno

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In questi versi Scervini, come Dante, fa emergere la <strong>di</strong>mensione affettiva e<br />

umana a <strong>di</strong>scapito <strong>di</strong> quella teologica e salvifica.<br />

Originale ed esplicita è la traduzione scerviniana in un’atmosfera <strong>di</strong> serena<br />

gentilezza e <strong>di</strong> affettuosa conversazione. Ecco ancora le parole <strong>di</strong> Stazio:<br />

Dante:<br />

[...] «Si m’amati,<br />

canusciti si t’amu e ssi t’onuru:<br />

ricordamu cchi simu e simu stati,<br />

trattannu l’urmi tosti cumu muru».<br />

[...] «Or puoi la quantitate<br />

comprender de l’amor ch’a te mi scalda,<br />

quand’io <strong>di</strong>smento nostra veritate,<br />

trattando l’ombre come cosa salda».<br />

(Pg. XXI, 133-136)<br />

Ricor<strong>di</strong>amo che qui tra le ombre dei morti non vale più nulla <strong>di</strong> ciò che poteva<br />

valere nel mondo. ’Ricor<strong>di</strong>amo chi siamo e chi siamo stati’.<br />

Mentre i poeti si affrettano nella sesta cornice, i penitenti cantano un versetto<br />

del Miserere. Sono i golosi, condannati ad espiare il loro vizio, Dante li guarda ed è<br />

meravigliato per la loro straor<strong>di</strong>naria magrezza, quando una <strong>di</strong> quelle anime si<br />

sofferma a guardare fissamente Dante e lo apostrofa con una gioiosa domanda: «Qual<br />

grazia m’è questa?». Scervini traduce: «Chi grazzia è chissa? Nu’ rispunni?». È la<br />

voce, più che il volto sfigurato dalla fame e dalla sofferenza che consente a Dante <strong>di</strong><br />

riconoscere Forese Donati, fiorentino e suo antico amico, col quale aveva avuto una<br />

tenzone poetica. Forese sottolinea che questa espiazione egli ha potuto ottenerla per le<br />

preghiere della sua vedovella Nella. Per Umberto Bosco l’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Forese è un<br />

essenziale momento «della poesia del ricordo, la rievocazione e il rifiuto <strong>degli</strong> anni<br />

della giovinezza trascorsi a Firenze, con le loro ombre, ma anche con le loro luci».<br />

Scervini accoglie il messaggio, traducendo letteralmente l’unità poetica e narrativa <strong>di</strong><br />

Dante.<br />

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