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ISIDE SVELATA

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articoli, inoltre, erano stati fatti dalle mani stesse di Septalius, come leggiamo nell’Art of<br />

Embalming (Arte dell’imbalsamazione) di Greenhill, a pag. 361. “Grew”, dice l’autore,<br />

“sembra considerare l’Asbestinus Lapis e l’Amianthus come la stessa cosa, e li chiama in<br />

inglese thrum-stone (pietra sfilacciata)”; egli dice che cresce in brevi fili o filacce, lunghi<br />

da un quarto di pollice a un pollice, paralleli e brillanti, sottili come i fili di un baco da seta<br />

e flessibili come lino o canapa. Che il segreto non sia andato perso è provato dal fatto che<br />

alcuni conventi buddhisti, in Cina e nel Tibet, ne sono in possesso. Non potremmo dire se<br />

fosse fatta con le fibre dell’una o dell’altra di queste pietre, ma abbiamo visto in un<br />

monastero femminile talapoin, una veste gialla, come quelle indossate dai monaci<br />

buddhisti, gettata in un largo pozzo pieno di carboni ardenti e tratta fuori dopo due ore<br />

pulita come se fosse stata lavata con acqua e sapone.<br />

Ai nostri tempi l’asbesto è stato sottoposto a prove egualmente severe in Europa e in<br />

America, e la sostanza viene oggi impiegata per vari scopi industriali come rivestimento di<br />

tetti, abiti incombustibili e casseforti a prova di fuoco. Un deposito molto importante a<br />

Staten Island, nella baia di New York, offre il minerale in blocchi, come legno secco, con<br />

fibre lunghe parecchi piedi. La più fine varietà di asbesto, chiamata dagli antichi αµιαντος<br />

(immacolato), prendeva il nome dalla sua lucentezza bianca e satinata.<br />

Gli antichi facevano lo stoppino delle loro lampade perpetue con un’altra pietra che<br />

chiamavano Lapis Carystius. Gli abitanti della città di Carystos sembrano non averne fatto<br />

segreto perché Matthaeus Raderus dice nella sua opera(44) che essi “pettinavano, filavano<br />

e tessevano questa pietra lanuginosa per farne mantelli, tovaglie e simili i quali, quando<br />

erano sporchi venivano purificati col fuoco invece che con l’acqua”. Pausania in Atticus, e<br />

anche Plutarco,(45) affermano che stoppini di lampade venivano fatti con questa pietra; ma<br />

Plutarco aggiunge che al suo tempo non se ne trovano più. Liceto è incline a credere che le<br />

lampade perpetue usate dagli antichi nei loro sepolcri non avessero stoppino, perché ne<br />

erano stati trovati pochissimi; ma Ludovicus Vives è di parere contrario e afferma di<br />

averne visti in gran numero.<br />

Liceto, inoltre, e fermamente convinto che un “pabulum per il fuoco può essere<br />

somministrato in misura così precisa da non potere essere consumato se non dopo una<br />

lunga serie di secoli e in modo che né la materia esalerà, resistendo fortemente al fuoco, né<br />

il fuoco consumerà la materia ma sarà impedito da essa, come da una catena, nella sua<br />

ascesa”. A questo proposito, Sir Thomas Brown,(46) parlando di lampade che hanno<br />

bruciato per molte centinaia di secoli, chiuse in piccoli spazi, osserva che “questo deriva<br />

dalla purezza dell’olio, che non emette esalazioni fuligginose tali da soffocare il fuoco;<br />

perché se l’aria avesse nutrito la fiamma, questa sarebbe durata solo pochi minuti, dato che<br />

l’aria sarebbe stata certamente consumata e distrutta dal fuoco”. Ma aggiunge: “l’arte di<br />

preparare questo olio inconsumabile è andata perduta”.<br />

Non del tutto; e il tempo lo proverà, sebbene tutto ciò che adesso scriviamo sia<br />

condannato a cadere, come tante altre verità.<br />

Ci dicono, in favore della scienza, che essa non accetta altro modo di investigazione<br />

che l’osservazione e l’esperienza. D’accordo; ma non abbiamo forse i resoconti di almeno<br />

tremila anni di osservazioni di fatti che dimostrano gli occulti poteri dell’uomo? Quanto<br />

agli esperimenti, quale migliore opportunità potremmo cercare di quella che ci hanno<br />

offerto i cosiddetti fenomeni moderni? Nel 1869 vari uomini di scienza inglesi furono<br />

(44) Commento sul 77° epigramma del IX libro di Marziale.<br />

(45) De defectu oraculorum.<br />

(46) Vulgar Errors, pag. 124.<br />

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