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ISIDE SVELATA

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sanscrito; e che l’albero sacro, nelle sue varie parti, contiene per esteso l’intera storia della<br />

creazione e, in sostanza, i libri sacri del buddhismo. Sotto questo aspetto esso ha, con il<br />

buddhismo, la stessa relazione che hanno le pitture del tempio di Dendera, in Egitto, con<br />

l’antica fede dei faraoni. Queste ultime sono state brevemente descritte dal professor W.B.<br />

Carpenter, presidente della British Association, nella sua conferenza di Mancester<br />

sull’Egitto. Egli chiarisce che il libro ebraico della Genesi non è altro che un’espressione<br />

delle primitive idee degli Ebrei, fondate sui documenti pittorici degli Egiziani fra i quali<br />

essi vivevano. Ma non spiega, se non deduttivamente, se, a suo parere, le pitture di<br />

Dendera o il racconto di Mosè siano un’allegoria o un preteso racconto storico. Non si<br />

riesce a capire come uno scienziato che si sia dedicato anche alla più superficiale ricerca<br />

sull’argomento possa arrischiarsi ad affermare che gli antichi Egiziani avevano,<br />

sull’istantanea creazione del mondo, le stesse ridicole idee dei primi teologi cristiani.<br />

Come può dire che, poiché le pitture di Dendera rappresentano la cosmogonia degli Egizi<br />

allegoricamente, essi intendevano mostrare la scena come avvenuta in sei minuti o in sei<br />

milioni di anni? Esse possono indicare in allegoria sei successive epoche di eoni o<br />

l’eternità, come sei giorni. Inoltre il Libro di Ermete non conferma l’accusa, e l’Avesta<br />

nomina specificatamente sei periodi ognuno di migliaia di anni, invece di sei giorni. Molti<br />

geroglifici egiziani contraddicono la teoria del dott. Carpenter, e Champollion ha<br />

rivendicato gli antichi in molti particolari. Da quello che è avvenuto in precedenza,<br />

crediamo che sarà chiaro al lettore che la filosofia egiziana non accoglieva così rozze<br />

speculazioni, se pure gli Ebrei stessi vi credettero mai; la loro speculazione considerava<br />

l’uomo come il risultato dell’evoluzione, e il suo progresso come destinato a compiersi in<br />

cicli immensamente lunghi. Ma torniamo alle meraviglie del Tibet.<br />

Magiche pitture della luna e del sole nel Tibet<br />

Parlando di pitture, quella che Huc descrive come appesa in una certa lamaseria può<br />

essere considerata come una delle più meravigliose esistenti. E una semplice tela senza il<br />

minimo apparato meccanico, come il visitatore può accertare esaminandola attentamente.<br />

Rappresenta un paesaggio al chiaro di luna, ma la luna non è immobile e morta, al<br />

contrario, perché, secondo l’abate, si direbbe che la nostra stessa luna, o per lo meno un<br />

suo doppio vivente, illumini la pittura sacra. “Vedete questo pianeta muoversi nel dipinto<br />

in forma di mezzaluna, divenire luna piena, brillare intensamente, passare dietro le nubi,<br />

mostrarsi o scomparire, corrispondendo nel modo più straordinario all’astro reale. In una<br />

parola è la più esatta e risplendente riproduzione della pallida regina della notte, che<br />

riceveva l’adorazione di tanti fedeli nei tempi andati”.<br />

Se si pensa allo stupore che proverebbe inevitabilmente uno dei nostri accademici così<br />

soddisfatti di sé nel vedere una tale pittura — e non è affatto la sola perché ve ne sono in<br />

altre parti del Tibet e anche in Giappone, che rappresentano i movimenti del sole — se<br />

pensiamo, dico, al suo imbarazzo nel sapere che, se si arrischiasse a dire francamente la<br />

verità ai suoi colleghi, il suo destino sarebbe probabilmente quello del povero Huc, ed egli<br />

sarebbe scacciato dal seggio accademico come bugiardo o pazzo, non possiamo fare a<br />

meno di ricordare l’aneddoto di Tycho-Brahe riferito da Humboldt nel suo Cosmos. (14)<br />

“Una sera”, dice il grande astronomo danese, “mentre, secondo la mia abitudine,<br />

osservavo la volta celeste, con indescrivibile stupore vidi, presso lo zenith, in Cassiopea,<br />

una stella radiante di straordinaria grandezza. Sbigottito, non potevo credere ai miei occhi.<br />

(14) Cosmos, vol. III, parte I, pag. 168.<br />

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