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ISIDE SVELATA

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memoria fu venerata per secoli per le sue meravigliose scoperte nella medicina: egli arrestò<br />

il processo di varie epidemie solo con certi suffumigi. Teofilo, patriarca di Antiochia, cita<br />

un’opera di Apollonide soprannominato Orapio, intitolata Libro divino, in cui si dava la<br />

biografia segreta di tutti gli dèi dell’Egitto; e Ammiano Marcellino parla di un’opera<br />

segreta in cui era indicata l’epoca precisa del bue Api, una chiave per molti misteri del<br />

calcolo ciclico. Che cosa è avvenuto di tutti questi libri, e chi conosce i tesori di sapere che<br />

possono avere contenuto? Noi conosciamo di certo una cosa sola, e cioè che i vandali<br />

pagani e cristiani distrussero questi tesori letterari dovunque poterono trovarli; e che<br />

l’imperatore Alessandro Severo percorse tutto l’Egitto per raccogliere i libri sacri di<br />

misticismo e di mitologia saccheggiando ogni tempio. E che gli Etiopi — antichi al pari<br />

degli Egiziani nelle arti e nelle scienze — si rivendicavano una priorità di antichità e di<br />

sapere su di loro: e poteva essere così, perché essi erano conosciuti in India all’alba della<br />

storia. Sappiamo anche che Platone imparò più segreti in Egitto di quanti ne poté citare; e<br />

che, secondo Champollion, tutto ciò che vi è di realmente buono e scientifico nelle opere di<br />

Aristotele — così pregiate oggi dai nostri moderni induzionisti — è dovuto al suo divino<br />

maestro. Come logica conseguenza, poiché Platone aveva insegnato oralmente ai suoi<br />

discepoli iniziati i profondi segreti imparati dai sacerdoti egiziani, trasmessi da quei<br />

discepoli, a loro volta, di generazione in generazione, ad altri adepti, essi conoscevano,<br />

sugli occulti poteri della natura, molto più dei filosofi dei nostri giorni.<br />

E qui possiamo citare le opere di Ermete Trismegisto. Chi, o quanti, hanno avuto la<br />

possibilità di leggerle quali erano nei santuari egiziani? Nei suoi Misteri egiziani,<br />

Giamblico attribuisce a Ermete 1.100 volumi, e Seleuco ne conta non meno di 20.000<br />

prima del periodo di Menes. Eusebio ne vide solo quarantadue “al suo tempo”, a quanto<br />

dice, e l’ultimo dei sei libri sulla medicina trattava di questa arte quale era praticata nei<br />

tempi più oscuri. (30) Diodoro ci fa sapere che il più antico dei legislatori, Mnevis, terzo<br />

successore di Menes, li ricevette da Ermete.<br />

Fra i manoscritti che sono giunti fino a noi, la maggior parte sono ritraduzioni latine di<br />

traduzioni greche fatte principalmente dai neoplatonici sui libri originali conservati da certi<br />

adepti. Marsilio Ficino, che fu il primo a pubblicarli a Venezia nel 1488, ci ha dato dei<br />

semplici estratti, e le parti più importanti sembrano essere state da lui trascurate o<br />

volontariamente omesse perché troppo pericolose da pubblicarsi in quei tempi di Auto da<br />

fé. E così oggi avviene che, quando un cabalista il quale ha dedicato l’intera vita a studiare<br />

l’occultismo e ha conquistato il grande segreto, si arrischia a notare che solo la Cabala ci<br />

conduce alla conoscenza dell’Assoluto nell’Infinito e dell’Indefinito nel Finito, è deriso da<br />

coloro che, conoscendo l’impossibilita della quadratura del cerchio, come problema fisico,<br />

negano la sua possibilità in senso metafisico.<br />

(30)<br />

Sprengel, nella sua History of Medicine, ci fa apparire Van Helmont disgustato dalla ciarlataneria e<br />

dall’ignorante presunzione di Paracelso. “Le opere di quest’ultimo”, dice Sprengel, “che egli (Van Helmont)<br />

aveva letto attentamente, fecero nascere in lui lo spirito della riforma; ma esse da sole non gli bastarono,<br />

perché la sua erudizione e il suo giudizio erano infinita-mente superiori a quelli di questo autore, ed egli<br />

disprezzava questo egoista, questo ignorante e ridicolo vagabondo che spesso sembrava essere caduto nella<br />

pazzia”. Questa affermazione è assolutamente falsa. Abbiamo sott’occhio gli scritti dello stesso Helmont per<br />

confutarlo. Nella nota disputa fra due scrittori, Goelenio, professore a Marburgo, che sosteneva la grande<br />

efficacia del balsamo simpatico di Paracelso per curare ogni ferita, e Padre Robert, un gesuita che<br />

condannava tutte queste cure e le attribuiva al Diavolo, Van Helmont cercò di appianare i contrasti. La<br />

ragione che egli diede per il suo intervento fu che tutte queste dispute “colpivano Paracelso come inventore e<br />

lui stesso come suo discepolo”. (Vedi “De magnetica vulnerum curatione” in Ortus medicinae, pag. 594).<br />

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