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ISIDE SVELATA

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giusto. Perché molti, cedendo alla collera, hanno cambiato la condizione della loro anima e<br />

hanno reso la morte preferibile alla vita. Ma, controllando la lingua e restando calmi,<br />

l’amicizia nasce dal conflitto, si estingue il fuoco della collera e non appariamo più privi di<br />

intelletto”.(72)<br />

Noi abbiamo avuto a volte delle apprensioni; abbiamo messo in dubbio l’imparzialità<br />

del nostro giudizio, la nostra capacità di criticare in modo rispettoso le fatiche di giganti<br />

quali sono alcuni dei nostri filosofi moderni: Tyndall, Huxley, Spencer, Carpenter e pochi<br />

altri. Nel nostro smodato amore per gli “antichi” — i saggi primitivi — abbiamo avuto<br />

sempre paura di oltrepassare i limiti della giustizia e di non dare il dovuto a quelli che lo<br />

meritano. Ma a poco a poco questo naturale timore ha fatto posto a un’inattesa sicurezza.<br />

Ci siamo accorti di essere solo una debole eco dell’opinione pubblica, che, per quanto<br />

contrastata, ha trovato spesso sollievo negli abili articoli diffusi nei periodici di tutto il<br />

paese. Uno di essi si può trovare nella “National Quarterly Review” del dicembre 1875,<br />

intitolato: “I nostri sensazionali filosofi d’oggi”. E un articolo molto abile, che discute<br />

coraggiosamente le affermazioni di alcuni nostri scienziati circa nuove scoperte sulla<br />

natura della materia, dell’anima umana, della mente e dell’universo; come si è formato<br />

l’universo ecc. “Il mondo religioso è stato molto impressionato”, dice l’autore, “e non poco<br />

eccitato dalle affermazioni di uomini come Spencer, Tyndall, Huxley, Proctor e pochi altri<br />

della stessa scuola”. Pur riconoscendo molto volentieri quanto la scienza debba a ognuno<br />

di questi signori, tuttavia l’autore “con la massima energia” nega che essi abbiano fatto una<br />

qualsiasi scoperta. Non vi è nulla di nuovo anche nelle più audaci di queste speculazioni,<br />

nulla che non fosse conosciuto e insegnato, in una forma o in un’altra, migliaia di anni fa.<br />

Egli non dice che questi scienziati “presentino le loro teorie come loro proprie scoperte, ma<br />

lo lasciano credere, e i giornali fanno il resto... Il pubblico, che non ha tempo né<br />

inclinazione per esaminare i fatti, accetta quello in cui credono i giornali... e si domanda<br />

che cosa avverrà in seguito. I pretesi creatori di queste impressionanti teorie sono aggrediti<br />

dai giornali. A volte gli sgraditi scienziati cercano di difendersi, ma non conosciamo un<br />

solo caso in cui essi abbiano francamente detto: “Signori, non adiratevi con noi; noi non<br />

facciamo che riproporre storie che sono vecchie come il mondo.”“ Questa sarebbe stata la<br />

semplice verità, ma “nemmeno gli scienziati o i filosofi”, aggiunge l’autore, “riescono a<br />

superare la debolezza di incoraggiare qualsiasi nozione che assicuri loro un posto fra gli<br />

immortali”. (73)<br />

Huxley, Tyndall e anche Spencer sono divenuti recentemente i grandi oracoli, i “papi<br />

infallibili” dei dogmi del protoplasma, delle molecole, delle forme primordiali e degli<br />

atomi. Hanno raccolto più palme e allori per le loro scoperte di quanti capelli avessero in<br />

capo Lucrezio, Cicerone, Plutarco e Seneca. E tuttavia le opere di quest’ultimo<br />

formicolano di idee sul protoplasma, le forme primordiali ecc., lasciando da parte gli<br />

atomi, per i quali Democrito fu chiamato il filosofo atomista. Nella stessa “Rivista”<br />

troviamo questa sorprendente denuncia:<br />

“Chi, fra gli sprovveduti, non è rimasto sbigottito, solo nello scorso anno, per i<br />

meravigliosi risultati ottenuti dall’ossigeno? Quale eccitazione hanno provocato Tyndall e<br />

Huxley proclamando al loro modo intelligente e oracolare le stesse dottrine che abbiamo<br />

citato da Liebig; e tuttavia già nel 1840, il professor Lyon Playfair aveva tradotto in inglese<br />

le opere più “avanzate” del barone Liebig”. (74)<br />

(72) Giamblico, De Vita Pythag, note aggiunte (Taylor).<br />

(73) “The National Quarterly Review”, dicembre 1875.<br />

(74) Ivi, pag. 94.<br />

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