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ISIDE SVELATA

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Universalità della credenza nella magia<br />

Noi siamo alla fine di un ciclo ed evidentemente in uno stato di transizione. Platone<br />

divide i progressi intellettuali dell’universo durante ogni ciclo in fecondi e sterili. Nelle<br />

regioni sublunari le sfere dei vari elementi rimangono eternamente in perfetta armonia con<br />

la natura divina, egli dice, “ma le loro parti” per la loro troppo stretta vicinanza alla terra e<br />

il loro mischiarsi con il terreno (che è materia e quindi regno del male), “sono talora in<br />

accordo e talora in contrasto con la (divina) natura”. Quando queste circolazioni — che<br />

Eliphas Levi chiama “correnti della luce astrale” — nell’etere universale che contiene in sé<br />

ogni elemento, avvengono in armonia con lo spirito divino, la nostra terra e tutto ciò che la<br />

riguarda attraversa un periodo fertile. I poteri occulti delle piante, degli animali e dei<br />

minerali simpatizzano magicamente con le “nature superiori” e l’anima divina dell’uomo è<br />

in perfetta intelligenza con queste nature “inferiori”. Ma durante i periodi sterili, queste<br />

ultime perdono la loro simpatia magica, e la vista spirituale della maggioranza degli<br />

uomini è così cieca da perdere ogni nozione dei poteri superiori del proprio spirito divino.<br />

Noi siamo in un periodo sterile: il secolo diciottesimo, durante il quale è scoppiata così<br />

irresistibilmente la febbre maligna dello scetticismo, ha imposto la miscredenza al<br />

diciannovesimo come una malattia ereditaria. L’intelletto divino è velato per l’uomo; solo<br />

il cervello animale filosofizza.<br />

Un tempo la magia era una scienza universale, interamente nelle mani della dotta<br />

classe sacerdotale. Sebbene il centro attivo di essa fosse gelosamente custodito nei<br />

santuari, i suoi raggi illuminavano tutto il genere umano. Altrimenti come potremmo<br />

spiegare la straordinaria identità delle “superstizioni”, dei costumi, delle tradizioni e<br />

perfino delle frasi ripetute nei proverbi popolari così vastamente diffusi da un polo<br />

all’altro, così che troviamo esattamente le stesse idee fra i Tartari e i Lapponi come fra le<br />

nazioni meridionali dell’Europa, fra gli abitanti delle steppe russe e gli aborigeni<br />

dell’America del Nord e del Sud? Tyler, per esempio, mostra che una delle antiche<br />

massime pitagoriche, “Non attizzare il fuoco con una spada”, era popolare fra una quantità<br />

di nazioni che non avevano il minimo rapporto reciproco. Egli cita Giovanni del Pian del<br />

Carpine che trovò questa tradizione diffusa fra i tartari già nel 1246. Un Tartaro non<br />

consentirà a nessun prezzo a immergere un coltello nel fuoco né a toccarlo con alcuno<br />

strumento affilato o appuntito per paura di tagliare “la testa del fuoco”. L’uomo del<br />

Kamciatka, nell’Asia nordorientale, lo considera un grave peccato. I Sioux indiani del<br />

NordAmerica non osano toccare il fuoco con chiodi, coltelli o alcuno strumento affilato; i<br />

Calmucchi hanno lo stesso timore, e un Abissino preferirebbe immergere fino al gomito<br />

nelle braci ardenti le braccia nude piuttosto che usare un coltello o una scure presso di esse.<br />

Il Tyler chiama anche questi fatti “semplici e curiose coincidenze”. Max Müller, tuttavia,<br />

pensa che perdano molto della loro forza per il fatto “chele dottrine di Pitagora ne stanno<br />

alla base”.<br />

Ogni sentenza di Pitagora, come la maggior parte delle antiche massime, aveva due<br />

significati; e, mentre aveva un occulto significato fisico espresso letteralmente nelle sue<br />

parole, dava corpo a un precetto morale che è spiegato da Giamblico nella sua Vita di<br />

Pitagora. Questo “Non attizzare il fuoco con una spada” è il nono simbolo nel Protreptico<br />

di questo neoplatonico. “Il simbolo”, egli dice, “esorta alla prudenza”. Egli mostra<br />

“l’opportunità di non opporre parole aspre a un uomo pieno di fuoco e di rabbia, di non<br />

discutere con lui. Perché spesso, con parole incivili agitiamo e incitiamo un ignorante e ne<br />

soffriremo noi stessi... Anche Eraclito afferma la verità di questo simbolo, quando dice che<br />

“è difficile lottare con ira, perché tutto quello che è necessario fare redime l’anima.” Ed è<br />

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