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ISIDE SVELATA

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ogni particella di materia contiene in sé una scintilla dell’essenza divina — o luce, spirito<br />

— la quale, per la sua tendenza a liberarsi dai suoi grovigli e tornare alla fonte centrale,<br />

mette in moto le particelle, e dal moto nascono le forme. Hargrave Jennings, citando<br />

Robertus de Fluctibus, dice: “Così tutti i minerali in questa scintilla di vita hanno la<br />

rudimentale possibilità delle piante e degli organismi che si sviluppano; così tutte le piante<br />

hanno le rudimentali sensazioni che (nei secoli) possono permettere loro di perfezionarsi e<br />

mutarsi in nuove creature mobili, di un grado più o meno elevato, più o meno nobili nelle<br />

loro funzioni; così tutte le piante e tutta la vegetazione possono passare (per vie traverse),<br />

per così dire, in più ampie vie di progresso più indipendente e completo, permettendo alla<br />

loro originaria scintilla di luce di espandersi e vibrare con forza più intensa e più viva e di<br />

avanzare con uno scopo più preciso, elaborato dall’influenza planetaria diretta dagli spiriti<br />

invisibili (o operatori) del grande architetto originale”. (9)<br />

La luce, la prima menzionata nel Genesi, è definita dai cabalisti Sephira, o la divina<br />

Intelligenza, la madre di tutte le Sephiroth, mentre la Sapienza nascosta è il padre. La luce<br />

è la prima generata e la prima emanazione del Supremo, e, dice l’evangelista, la Luce è<br />

Vita. Entrambe sono elettricità, il principio vitale, l’anima mundi che pervade l’universo, il<br />

vivificatore elettrico di tutte le cose. La luce è il grande mago proteico, e, sotto l’azione<br />

della Volontà Divina dell’architetto, le sue multiformi, onnipotenti onde fanno nascere<br />

tutte le forme e tutti gli esseri viventi. Dal suo seno gonfio di elettricità si sprigionano la<br />

materia e lo spirito. Nei suoi raggi è il principio di ogni azione fisica e chimica e di ogni<br />

fenomeno cosmico e spirituale; essa vitalizza e disorganizza, dà vita e provoca morte, e dal<br />

suo punto primordiale emergono gradualmente all’esistenza le miriadi di mondi, i corpi<br />

celesti visibili e invisibili. Al raggio di questa Prima madre, una in tre, Dio, secondo<br />

Platone, “accese un fuoco che adesso chiamiamo sole”(10) e che non è la causa della luce e<br />

del calore, ma semplicemente il fuoco, o; potremmo dire, la lente da cui i raggi della luce<br />

primordiale sono materializzati, concentrati sul nostro sistema solare, e producono la<br />

correlazione delle forze.<br />

Questo per la prima delle due proposizioni di Proctor; veniamo adesso alla seconda.<br />

L’opera di cui parliamo comprende una serie di dodici saggi di cui l’ultimo è intitolato<br />

“Thoughts on Astrology” (Pensieri sull’astrologia). L’autore tratta il soggetto con maggior<br />

considerazione di quanto siano soliti fare gli uomini della sua classe, ed evidentemente vi<br />

ha rivolto molta attenzione. In realtà egli giunge a dire che “Se consideriamo l’argomento<br />

nel modo giusto, dobbiamo ammettere... che fra tutti gli errori in cui gli uomini sono caduti<br />

nel loro desiderio di penetrare il futuro, l’astrologia è il più rispettabile, e potremmo anche<br />

dire il più ragionevole”. (11)<br />

Egli ammette che “I corpi celesti regolano i fatti degli uomini e delle nazioni nel modo<br />

più inequivocabile, considerando che, senza le influenze sovrane e benefiche del maggiore<br />

di questi corpi, il sole, ogni creatura vivente sulla terra perirebbe”.(12) Egli ammette anche<br />

l’influenza della luna e non trova nulla di strano nel fatto che gli antichi, ragionando per<br />

analogia, concludessero che, se due di questi corpi celesti erano così potenti nelle loro<br />

influenze terrestri, era “... naturale che gli altri corpi rotanti conosciuti dagli antichi<br />

venissero considerati come dotati anch’essi di particolari poteri”. (13) In realtà il<br />

(9) Hargrave Jennings, The Rosicrucians.<br />

(10) Timeo.<br />

(11) Our Place among Infinities, pag. 313.<br />

(12) Ivi.<br />

(13) Ivi, pag. 314.<br />

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