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ISIDE SVELATA

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cosa è certa: l’autenticità, l’attendibilità e l’utilità dei Libri di Ermete — o piuttosto di ciò<br />

che rimane delle trentasei opere attribuite al mago egiziano — sono pienamente<br />

riconosciute da Champollion Junior e confermate da Champollion-Figeac che li cita. Se,<br />

studiando attentamente le opere cabalistiche, che derivano tutte dal quel magazzino<br />

universale di conoscenza esoterica, troviamo i facsimili di molti cosiddetti miracoli ottenuti<br />

per arte magica e riprodotti anche dai Quiche; se anche nei frammenti rimasti del Popol-<br />

Vuh originale vi sono sufficienti prove che i costumi religiosi dei Messicani, dei Peruviani<br />

e di altre razze americane sono quasi identici a quelli degli antichi Fenici, dei Babilonesi e<br />

degli Egiziani; e se inoltre scopriamo che molti dei loro termini religiosi hanno<br />

etimologicamente la stessa origine, come potremo fare a meno di credere che essi sono i<br />

discendenti di coloro i cui padri “fuggirono dinanzi al brigante Giosuè, figlio di Nun”?<br />

Nunez de la Vega dice che Nin, o Imos, dei Tzendali, era il Nino dei Babilonesi”. (52)<br />

E possibile che, fin qui, possa esservi una coincidenza, e l’identificazione dei due si<br />

fonda su di un argomento molto debole. “Ma è noto”, aggiunge Bourbourg, “che questo<br />

principe e, secondo altri, suo padre Bel, o Baal, ricevette, come il Nin dei Tzendali,<br />

l’omaggio dei suoi sudditi sotto forma di un serpente”. Quest’ultima affermazione, oltre a<br />

essere fantastica, non trova conferma in alcun documento babilonese. È vero che i Fenici<br />

rappresentavano il sole sotto l’immagine di un drago, ma altrettanto fecero gli altri popoli<br />

che simbolizzarono i loro dèi solari. Belo, il primo re della dinastia assira, secondo Castore<br />

ed Eusebio che lo cita, venne deificato, ossia fu annoverato fra gli dèi, solo “dopo la sua<br />

morte”. Così né lui né suo figlio Nino, o Nin, possono avere ricevuto i loro soggetti sotto<br />

forma di un serpente, qualunque cosa abbiano fatto i Tzendali. Bel, secondo i cristiani è<br />

Baal, e Baal è il diavolo, poiché i profeti biblici cominciarono a designare così tutti gli dèi<br />

dei loro vicini. Di conseguenza Belo, Nino e il messicano Nin sono serpenti e diavoli; e,<br />

poiché il Diavolo, o padre del male, è uno sotto varie forme, il serpente, sotto qualsiasi<br />

nome appaia, è il Diavolo. Strana logica! Perché non dire che il Nino assiro, rappresentato<br />

come marito e vittima dell’ambiziosa Semiramide, fu sommo sacerdote e re del suo paese?<br />

E che, come tale, portava sulla sua tiara i sacri emblemi del drago e del sole? Inoltre,<br />

poiché il sacerdote assumeva il nome del suo dio, Nino fu detto ricevere i suoi sudditi<br />

come rappresentante del dio-serpente. L’idea è eminentemente cattolica e ha poco valore<br />

come tutte le invenzioni da loro fatte. Se Nunez de la Vega era così ansioso di stabilire<br />

un’affiliazione fra i Messicani e gli adoratori biblici del sole e del serpente, perché non<br />

mostrò un’altra e migliore somiglianza fra loro senza andare a cercare tra i Niniviti e i<br />

Tzendali lo zoccolo e le corna del Diavolo cristiano?<br />

Anzitutto avrebbe potuto riferirsi alle Cronache del regno di Guatemala di Fuentes, e<br />

al Manoscritto di Don Juan Torres, il nipote dell’ultimo re dei Quiché. Questo documento,<br />

che si dice sia stato in possesso del luogotenente generale nominato da Pedro de Alvarado,<br />

afferma che gli stessi Toltechi discendevano dalla casa di Israele, e che, abbandonati da<br />

Mosè, dopo il passaggio del Mar Rosso, erano caduti nell’idolatria. Dopo di che, separatisi<br />

dai loro compagni, e sotto la guida di un capo chiamato Tanub, si misero a vagare e,<br />

passando da un continente all’altro, giunsero in un luogo chiamato le Sette Caverne, nel<br />

regno del Messico, dove fondarono la famosa città di Tula ecc. (53)<br />

Se questa affermazione non ha mai ottenuto più credito di quanto ne abbia, è solo per<br />

il fatto che è passata per le mani del Padre Francis Vasques, storico dell’ordine di san<br />

(52) Brasseur de Bourbourg, Cartas, pag. 52.<br />

(53) Vedi Stephens, Travels in Central America ecc.<br />

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