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ISIDE SVELATA

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avanti se non su vie, battute molto prima dell’èra cristiana? Come avviene che i punti di<br />

vista più avanzati raggiunti ai nostri tempi ci permettono solo di vedere a grande distanza,<br />

sui sentieri alpini della conoscenza, le prove monumentali lasciate da precedenti esploratori<br />

per indicare le sommità che avevano raggiunto e occupato?<br />

Se i maestri moderni sono tanto più avanti degli antichi, perché non ci riportano le arti<br />

perdute dei nostri antenati postdiluviani? Perché non ci dànno gli indelebili colori di<br />

Luxor: la porpora di Tiro, il brillante vermiglione e l’abbagliante blu che decoravano le<br />

mura di quel luogo e sono oggi freschi come il giorno in cui vennero applicati?<br />

L’indistruttibile cemento delle piramidi e degli antichi acquedotti; le lame di Damasco, che<br />

potevano essere ritorte come cavatappi senza spezzarsi; le stupende e ineguagliabili tinte<br />

dei vetri che si trovano nella polvere di antiche rovine e brillano alle finestre delle antiche<br />

cattedrali; e il segreto del vetro malleabile? E se la chimica è incapace di gareggiare, in<br />

alcune arti, perfino col primo periodo medievale, perché si vanta di scoperte che, secondo<br />

ogni probabilità, erano perfettamente note migliaia di anni fa? Quanto più l’archeologia e<br />

la filologia progrediscono, tanto più umilianti per il nostro orgoglio sono le scoperte da<br />

loro fatte ogni giorno, e tanto più gloriose testimonianze esse portano in favore di coloro<br />

che, forse per la distanza della loro remota antichità, sono stati fino a oggi considerati<br />

ignoranti impegolati nei più profondi pantani della superstizione.<br />

Perché dovremmo dimenticare che, secoli prima che la prua dell’avventuroso<br />

Genovese solcasse le acque dell’Occidente, le navi fenice avevano circumnavigato il globo<br />

e portato la civiltà in regioni oggi silenziose e deserte? Quale archeologo oserebbe<br />

affermare che la stessa mano che progettò le piramidi d’Egitto, Karnak e le mille rovine<br />

che oggi si sgretolano nell’oblio sui banchi sabbiosi del Nilo, non eresse il monumentale<br />

NagkonWat in Cambogia? o non tracciò i geroglifici sugli obelischi e sulle porte del<br />

deserto villaggio indiano recentemente scoperto nella Columbia Britannica da Lord<br />

Dufferin? O quelli sulle rovine di Palenque e di Uxmal nell’America Centrale? Le reliquie<br />

che noi custodiamo gelosamente nei nostri musei — ultimi ricordi delle “arti perdute” da<br />

tanto tempo — non parlano forse ad alta voce in favore della civiltà antica? E non provano<br />

forse sempre più che le nazioni e i continenti scomparsi hanno portato con sé nella tomba<br />

arti e scienze che né il primo crogiuolo scaldato in un chiostro medievale, né l’ultima<br />

provetta spezzata da un chimico moderno, hanno fatto né faranno rivivere, per lo meno in<br />

questo secolo.<br />

“Essi non mancavano di qualche conoscenza di ottica”, concede magnanimamente il<br />

professor Draper agli antichi; altri negano loro decisamente anche questo poco. “Le lenti<br />

convesse trovate a Nemrod dimostrano che essi non ignoravano strumenti di<br />

ingrandimento”.(61) Davvero? Se non li avessero conosciuti, tutti gli autori classici<br />

avrebbero mentito. Perché, quando Cicerone ci dice di avere visto l’intera Iliade scritta su<br />

di un lembo di pelle così piccolo da potere essere contenuto, avvolto, in un guscio di noce,<br />

e Plinio afferma che Nerone aveva un anello con un piccolo vetro attraverso il quale poteva<br />

osservare a distanza i combattimenti dei gladiatori, sarebbe difficile spingere oltre<br />

l’audacia della menzogna. In realtà, quando ci si dice che Maurizio poteva vedere dal<br />

promontorio della Sicilia, attraverso tutto il mare, le coste dell’Africa con uno strumento<br />

chiamato nauscopito, dobbiamo pensare che tutti questi testimoni mentissero o che gli<br />

antichi avessero conoscenze più che superficiali di ottica e di lenti di ingrandimento.<br />

Wendell Philips afferma di avere avuto un amico il quale possedeva un anello straordinario<br />

(61) Conflict between Religion and Science, pag. 14.<br />

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