Notizie istoriche de' comici italiani - irpmf

100 – Giovanna Sparacello
fortune, che mai non volli ad essa attraversare.
Nella notizia di lei sotto l’articolo di Ricci
Bartoli aggiungerò alcuna cosa sopra tale
proposito; dando fi ne a questo forse troppo
nojoso racconto unendo qui per un saggio
della mia debolissima Musa il Componimento
del Corso di Firenze, che per essere e
nel metro, e nella materia aff atto nuovo potrà,
come io spero, meritare da’ Benigni Leggitori
qualche gentile, o favorevole
accoglimento 21 .
IL CORSO DI FIRENZE
STANZE
1. Vorrei donar all’Italiane Muse
un nuovo parto del mio tristo ingegno.
Ma temo, che di presunzion m’accuse
chi sa occupar tra’ Vati un posto degno.
Le voglie mie saran dunque deluse
e fi a temenza tal forte ritegno
a quell’ardir, che nel mio petto infuse
l’almo Sovrano del Castalio regno?
No, no, bramo cantar; dica chi vuole:
fatti far voglio, s’altri fan parole.
2. L’Ottava rima fu da molti usata,
ed è già vecchia omai, com’Ida e Troja.
Pens’io di far la giunta alla derrata,
e poiché di cantar mi vien la foja,
farò la stanza lunga, e più spiegata,
unendo altri due giunchi a simil Stuoja;
e rida pur di ciò la mia brigata
che in vece di rancor io n’avrò gioja.
Se non mi vuole udir, vada; io la mando,
ch’anche da me mi godo andar cantando.
3. Vo, che si chiamin Stanze Bartoliane
queste, ch’io comporrò di mia invenzione.
Barbare non saranno, oscure, o strane
da movere fra i dotti alta quistione.
Amor di novità mi fa stamane
cantar in metro tal sul colascione,
nè per ciò creder vo’ d’aver del cane
sorte egual nel castigo, o derisione,
che s’un comincia a dir dagli, il percuoto,
© IRPMF, 2010 – Les savoirs des acteurs italiens, collection dirigée par Andrea Fabiano
tutti gli dan, nè vanno i colpi a vuoto.
4. Sì, Stanze Bartoliane queste mie
si appelleran di dieci versi fatte.
Il ritrovato è mio, non son bugie:
chi le feo pria di me? Da chi le ho tratte?
Le rime non saran quinci restie
né stentate, nè false, o mal adatte.
Due di più nelle solite armonie
m’usciran dalla penna piatte piatte.
Sì piano il vo’; non vo’ tronco il mio verso
non pedantesco, non tropp’alto, e terso.
5. La via battuta dal mio caro Ariosto
mi piace assai, ma o Dio! come seguirlo!
Non ho che il fumo, e son senza l’arrosto
nel mio banchetto, e qui come imbandirlo?
Ma già che in mente il gran pensier m’ho
[posto,
il vo’ appagar, se seppi concepirlo.
Chi m’ascolta non movasi dal posto,
più avanti si faccia a meglio udirlo
spiegar col fatto; che m’accingo intanto
ad accordar la cetra al nuovo Canto.
6. Ma, che degg’io cantar? D’arme, o d’amori?
No, di ciò n’abbiam piene mille carte.
Non vo’ che suonin bellici furori
per far vedere umane membra sparte;
né vo’ parlar di tenerelli ardori
che veggon suscitarsi in ogni parte.
D’un dì del Carnovale i bei splendori
descriver voglio adesso a parte a parte,
se Talia di Commedie la maestra,
mia penna reggerà che ho nella destra.
7. Nella scorsa stagion, che al ballo invita
ed infonde nel cor gioje, e trastulli
io mi trovai nella Città fi orita
che non cede alla patria dei Luculli22 .
Alla grandezza sua la fama ha unita
di vantar nel suo sen nuovi Catulli;
e in oggi la sua gloria è poi compita
avendo per Sovrano23 un che i Tibulli
vince in saver, nel bel parlar gli Evandri,
e in giustizia, e prudenza gli Alessandri.
8. Città felice a cui provvido il Cielo
fra tanti doni suoi le unì il più grande
in cui un Pincipe, cui benigno zelo
de’ Cittadini a pro coltiva, e spande.