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Harry Potter e i Cimeli della Morte
La scena si dissolse e, prima che Harry se ne rendesse
conto, si riformò attorno a lui. Ora era in un boschetto.
Poteva vedere un fiume, illuminato dal sole, luccicare tra i
tronchi. Le fronde avevano creato una conca di fresca
ombra verdeggiante. Due bambini sedevano a terra, uno di
fronte all’altro, con le gambe incrociate. Piton aveva tolto
la giacca, adesso: la sua singolare blusa sembrava meno
strana nella penombra.
“… e il Ministro può punirti se fai delle magie fuori
dalla scuola: riceverai delle lettere.”
“Ma io ho fatto magie fuori dalla scuola!”
“Noi siamo a posto. Non abbiamo ancora le bacchette.
Non ti considerano quando sei un bambino e non puoi
controllare i tuoi poteri. Ma quando avrai undici anni,”
assentì significativamente, “ed avranno cominciato ad
istruirti, allora dovrai fare molta attenzione.”
Ci fu un breve silenzio. Lily aveva raccolto un rametto
e lo sventolava nell’aria e Harry capì che lei stava
immaginando che ne sprizzasse una scia di scintille. Infine
lasciò cadere il bastoncino, si sporse verso il ragazzino e
chiese, “È tutto reale, vero? Non è uno scherzo? Petunia
dice che ti prendi gioco di me. Dice che non c’è nessuna
Hogwarts. Ma è tutto reale, vero?”
“È reale per noi,” spiegò Piton. “Non per lei. Ma
riceveremo la lettera, tu ed io.”
“Veramente?” mormorò Lily.
“Assolutamente sì,” la rassicurò Piton. Nonostante i
capelli tagliati male e gli abiti scompagnati, dava
un’impressione stranamente solenne, disteso davanti a lei,
traboccante di fiducia nel proprio destino.
“E arriverà davvero via gufo?” bisbigliò Lily.