miguel de unamuno frente al modernismo religioso - Gredos ...

conoscenza, e che si riempie di una formula qualunque, ad esempio della
tradizionale, perché non sa e non può riempirsi d’altro; una superbia caratterizzata
dalla sua resistenza ad operare, a mostrarsi innanzi agli occhi di tutti, ad esporsi al
giudizio altrui, del tutto incapace d’azione giacché l’azione è sempre la
manifestazione di una radicale umiltà. Il substrato della brutalità mentale è quindi
l’inattività, il non sapersi e il non volersi porre nelle condizioni di chi si critica.
Nella stoltezza si trova sempre la meschinità morale e l’incapacità di operare il
vero bene. Ne facciamo continua esperienza nelle nostre relazioni di ogni giorno,
ma ce ne fa certi anche il fatto che, sebbene si vada comunemente parlando della
mancanza dell’intelligenza come di una disgrazia di cui uno non ha colpa, e si
ripeta a sazietà il vecchio adagio: «Meglio la dabbenaggine che non il mal genio»,
in realtà si preferisce passare per cattivi che non per stolti, tanto è profondo il
senso di quanto v’ha di immorale nella deficienza intellettuale e tanto si è persuasi
dell’alto valore etico dell’intelligenza.
Così Unamuno ha ragione di affermare che «l’intelligenza è una forma della
bontà e la bontà una forma dell’intelligenza». E ancora: «Ciò che v’è di più
profondo e di più squisito nella bontà è il perdono: l’uomo è tanto più buono
quanto più è propenso a giudicar bene degli altri, a scolparli. E se ben badiamo,
anche la deficienza intellettuale ha le sue radici in un substrato di pigrizia e di
inattività: «la pigrizia è la madre di tutti i vizi e fra gli altri della stoltezza e della
brutalità mentale».
Ma, lasciata a mezzo questa sua trattazione della causa e degli effetti della
stoltezza e dell’intolleranza, l’autore si chiede a che approdino le sue ricerche di
psicologia astratta «se non sanno far buoni i malvagi ed intelligenti gli sciocchi».
Far meno meritevole di compassione la deficienza mentale, mostrare come questa
non sia una semplice disgrazia e uno stato d’innocenza, ma come sia prossima e
identificabile con l’intolleranza, la quale a sua volta è prova non tanto di forte
carattere e di salde convinzioni quanto del contrario, – a che giova tutto ciò,
quando sappiamo che l’essenziale nella vita degli uomini è la condotta e che
potremmo portare innanzi un cumulo di ragioni d’ordine logico senza riuscire a
mutare di un filo il modo d’essere di un uomo? Ma, soggiunge tosto Unamuno,
«noi sentiamo tutti quanti la necessità di giustificare e di spiegare la nostra
condotta dinanzi a noi e dinanzi agli altri e non troviamo riposo fino a che non
abbiamo trovato ciò che crediamo ragion sufficiente del nostro operare». Ora
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