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Capitolo 1. La dimora storica. Un patrimonio diffuso nel territorio.<br />

e alle ideologie legate al consumismo, al benessere economico e all’igiene. La<br />

casa assorbe le rapide trasformazione della società e muta la sua dimensione:<br />

dalle esperienze razionali e funzionali sfocia nelle ricerche estetiche e sempre<br />

più tecnologiche della contemporaneità, spesso responsabile di ambienti<br />

impersonali, nevrotici e frustranti. Il razionalismo degli anni ‘30 del XX secolo<br />

sviluppa un sapere scientifico sulla casa fondato sull’assimilazione dell’abitare a<br />

una funzione meccanica. Trionfo la casa-tipo corrispondente alla classificazione<br />

della società per tipi economici. Ad essa corrispondeva la definizione di uno<br />

standard abitativo: l’existenz minimum, il minimo di spazio necessario per abitare<br />

dignitosamente.<br />

A ciò si aggiunge l’orientamento verso una spazio abitativo inteso come “ambiente<br />

del confort domestico” ove tubi, tubazioni, scarichi, impianti di condizionamento,<br />

elettrodomestici, antenne, contatori e interruttori rimangono a vista e diventano<br />

i nuovi protagonisti dello spazio abitativo.<br />

La progressiva razionalizzazione e standardizzazione delle attrezzature<br />

contribuisce a artificializzare la casa che diventa un perfetto “cubo bianco”.<br />

Nel progetto “La camera linda” esposto nella mostra “Il progetto domestico”<br />

in occasione della XVII Triennale di Milano, Clino Trini Castelli interpreta una<br />

dimensione clinica e sterile. Nella casa si introduce una tecnologia sofisticata,<br />

destinata prima solo a sale operatorie e “computer site”, libera da arredi e<br />

oggetti personali.<br />

La casa igienica, minimalista, tecnologica diventa a poco a poco gabbia, prigione,<br />

ghetto.<br />

Emblematica la descrizione dello scrittore Franz Kafka nella Metamorfosi ove<br />

diventa centrale il tema della porta, del limite che divide l’insetto dalla famiglia,<br />

la casa diventa “Spesso se ne stava lì intere e lunghe notti, senza dormire un<br />

minuto e raschiando per delle ore il cuoio. Oppure, senza spaventarsi della fatica,<br />

spingeva una seggiola verso la finestra, si arrampicava sul davanzale puntellandosi<br />

sulla sedia e vi si affacciava poi, evidentemente per un vago ricordo del senso di<br />

liberazione che provava una volta a spaziare fuori con lo sguardo”.<br />

Federica Arman, Le vite, le case e il progetto d’architettura. La valorizzazione museografica delle dimore di uomini celebri del Novecento.<br />

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