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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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A proposito di tali commenti Mutolo ha, quindi, precisato che certamente i<br />

personaggi mafiosi piu’ importanti di alcune famiglie mafiose, in quell’epoca, erano a<br />

conoscenza dei rapporti che il dott.Contrada intratteneva con “Cosa Nostra” (cfr. f.74 trascr.<br />

ud. 12/7/1994).<br />

A tal proposito deve segnalarsi un altro episodio di cui ha riferito il collaborante<br />

avente ad oggetto un colloquio dallo stesso avuto con Porcelli Antonino mentre entrambi si<br />

trovavano detenuti presso il carcere di Palermo.<br />

L’episodio traeva spunto dalla collaborazione con la giustizia, iniziata formalmente<br />

nel 1986 di De Caro Vincenzo, cognato di Mutolo, che quest’ultimo ha negato essere “uomo<br />

d’onore” a conoscenza di notizie di rilievo concernenti i segreti di “Cosa Nostra” (cfr. ff. 12<br />

e ss. 64 e ss trascr. ud. 12/7/1994 -).<br />

Un giorno Porcelli Antonino, reduce da un’udienza in Tribunale in cui aveva reso la<br />

propria deposizione il citato De Caro Vincenzo, aveva chiamato Mutolo, ristretto nel<br />

medesimo carcere a Palermo, e colloquiando con lui attraverso le finestre delle rispettive<br />

celle che si affacciavano nel medesimo cortile interno del carcere, gli aveva detto con tono<br />

concitato, che suo cognato stava accusando tutti i mafiosi di essere delatori della Polizia<br />

mentre Mutolo doveva ben sapere che i rapporti che c’erano con Contrada non traevano<br />

origine da rapporti confidenziali bensì da favori che Contrada faceva all’organizzazione<br />

(testualmente : “tuo cognato ci sta prendendo anche per spioni, dice, che noi eravamo<br />

confidenti di Polizia, dice, ma tu lo sai ....che questi contatti con Contrada erano non<br />

perchè, cioè il Riccobono ci dava delle notizie, ma semplicemente perchè avevamo dei<br />

favori” cfr. f. 68 trascr. ud. 12/7/1994).<br />

Nel corso del suo esame dibattimentale il Mutolo ha, diffusamente, parlato delle fasi<br />

iniziali della propria collaborazione e del momento in cui egli aveva avuto modo di rivelare,<br />

per la prima volta, a magistrati le notizie in proprio possesso sul conto del dott. Contrada.<br />

In generale il collaborante ha premesso di avere sempre saputo, fin dai primi anni<br />

della propria appartenenza a “ Cosa Nostra “, delle numerose infiltrazioni che tale<br />

organizzazione aveva all’interno delle Istituzioni (“sapevo che in contatto con l’ambiente<br />

mafioso non c’erano soltanto i mafiosi ma c’erano industriali, qualche magistrato,<br />

poliziotti, avvocati, politici...”) e di essere stato, altresì, pienamente consapevole del grave<br />

rischio che si correva di essere screditato nel riferire proprio in ordine a tali infiltrazioni (cfr.<br />

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