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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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Come ha riferito il collaborante, Bontate in maniera “netta e precisa” gli aveva<br />

confermato che la notizia appresa dal Riccobono era vera e che anzi in “Commissione” si<br />

criticava l’eccessiva frequentazione tra il Riccobono ed il dott. Contrada (cfr. f. 4 ud. cit.).<br />

Buscetta ha precisato che la critica non era rivolta al Riccobono in quanto “amico”<br />

del dott. Contrada, essendo pacifico all’interno dell’organizzazione mafiosa che il rapporto<br />

di “amicizia” con un poliziotto è ammesso ove si traduca in un vantaggio per l’intera<br />

associazione criminale; ciò che creava “mormorii” all’interno di “Cosa Nostra” era la<br />

continua frequenza del Riccobono con il dott. Contrada, non si trattava del “solito<br />

avvicinamento”, “perdeva molto tempo in compagnia del dott. Contrada”; questa eccessiva<br />

frequenza destava qualche dubbio ma nulla al di là di questo (cfr. ff.9 e ss., 86 e ss. ud. cit.).<br />

D’altra parte Buscetta, in assoluta coerenza con quanto dichiarato sul punto anche<br />

dai collaboratori di giustizia Mutolo e Cancemi, ha spiegato cosa si intende, nel gergo<br />

mafioso, con l’espressione usata dal Riccobono “ avere il dott. Contrada nelle mani”: “ <strong>La</strong><br />

risposta è questa: che Cosa Nostra è rimasta impenetrabile per secoli proprio per le mezze<br />

frasi, per i cenni, per l’ammiccata di uno sguardo; non è necessario un discorso molto<br />

completo, quando a me mi dice un personaggio come Riccobono “io ci ho Contrada nelle<br />

mani” per me è un capitolo chiuso, ed è un mondo di circostanze che io non ho il diritto di<br />

appurare fino a che punto; lui mi ha detto è nelle mie mani, io non ho il diritto di chiedere<br />

spiegazioni a lui..ho il diritto di crederlo, perchè questo è il linguaggio, e accettare per<br />

buono, o, se ho delle prove contrarie, portare a lui in commissione e dire “questo è un<br />

bugiardone”, mi ha assicurato una cosa terribile, merita la morte” (cfr. ff. 92-93 ud. cit.).<br />

Riccobono, peraltro, non era “un uomo d’onore” qualsiasi, era un “capo-<br />

mandamento” nonchè uno dei componenti della “Commissione provinciale” di Palermo,<br />

come lo stesso Buscetta ha sottolineato, uno dei capi dell’organizzazione mafiosa; e lo<br />

stesso Buscetta, sebbene semplice “soldato” della propria famiglia, era mafioso di grande<br />

prestigio all’interno di “Cosa Nostra” (v. dich. Cancemi), tanto da essere lui stesso in<br />

predicato di divenire capo-mandamento in luogo di Giuseppe Calò: attesa la statura<br />

all’interno di “Cosa Nostra” dei due interlocutori, appare ancora piu’ inverosimile che uno<br />

dei due dicesse il falso all’altro senza alcuna plausibile ragione, peraltro esponendosi a<br />

gravissimi rischi .<br />

Riccobono, inoltre, vantava un interesse preciso a che Buscetta restasse a Palermo<br />

perchè voleva sostegno nella guerra contro i “Corleonesi” che, in seguito, erano riusciti a<br />

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