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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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Dalle riferite dichiarazioni dell’imputato emerge la contraddizione in cui egli è<br />

incorso: ed invero quando parla in generale del fenomeno dei “confidenti” non ha difficoltà<br />

ad ammettere che nell’epoca in cui ha svolto le proprie funzioni di P.G. a Palermo tale<br />

strumento investigativo era il piu’ importante ed addirittura l’unico davvero efficace per le<br />

Forze dell’Ordine, aggiungendo che il valore di un poliziotto si misurava dal numero e dallo<br />

“spessore” dei propri confidenti; quando, invece, vuole allontanare da sè anche la<br />

prospettiva di un qualsiasi rapporto di natura “confidenziale” con il Riccobono arriva a<br />

sostenere di avere sempre fatto nel corso della propria carriera la scelta di non instaurare<br />

rapporti di tal natura con uomini di mafia di un certo spessore delinquenziale, giungendo a<br />

teorizzare la figura del “quasi -confidente” (una mezza figura) come quella cui era solito<br />

rivolgersi per apprendere notizie di interesse investigativo.<br />

Tale contraddizione è sintomatica della difficoltà in cui l’imputato è venuto a<br />

trovarsi nel tentativo di fornire spiegazioni lineari ai propri comportamenti.<br />

D’altra parte l’intreccio di relazioni esistenti tra Riccobono e taluni soggetti,<br />

rivelatisi nel corso dell’istruzione dibattimentale al contempo in stretto e diretto<br />

collegamento con l’imputato hanno posto il predetto dinanzi alla necessità di mentire o di<br />

contraddirsi.<br />

Emblematico in tal senso appare il rapporto instaurato dal dott. Camillo Albeggiani,<br />

contestualmente, sia con Riccobono che con l’odierno imputato.<br />

Nel corso delle sue dichiarazioni all’udienza dell’8/11/1994, l’imputato ha accennato<br />

all’ipotesi che proprio l’amicizia che aveva con il dott. Albeggiani, al contempo medico<br />

della famiglia di Rosario Riccobono, “potesse avere contribuito notevolmente”, o addirittura<br />

“determinato” la diffusione delle voci che poi erano state alla base delle dichiarazioni<br />

accusatorie rese nei suoi confronti, nel 1984, da Tommaso Buscetta.<br />

In verità tale tesi, nel corso del procedimento avviatosi sulla base delle sole<br />

dichiarazioni del Buscetta nel 1984, non è stata direttamente sostenuta dall’imputato, bensì<br />

da un suo collega, il dott. Ignazio D’Antone, suo stretto collaboratore ed amico (l’imputato<br />

lo ha ammesso a seguito del rilievo fatto sul punto dal P.M. “ io non parlai del dott.<br />

Albeggiani, non volli metterlo in mezzo, anche se, poi, seppi che un mio collega, interrogato<br />

su questa vicenda.....il dott. D’Antone fece una dichiarazione che metteva in risalto questo<br />

mio rapporto di amicizia con Albeggiani, che a sua volta era il medico di famiglia di<br />

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