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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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all'una piuttosto che all'altra. Non puo' infatti contestarsi che ad alcune prove che<br />

rientrano nella categoria di quelle "indirette" o "critiche" deve riconoscersi rilievo di<br />

attendibilita' superiore rispetto ad altre che pure rientrano in quella delle "dirette" o<br />

"rappresentative" e anzi possono valere a verificare queste ultime (come, ad esempio, tra le<br />

prime, una identificazione dattiloscopica che di per se' puo' essere decisiva, e, tra le<br />

seconde, la stessa testimonianza che deve anche essa superare il controllo della<br />

attendibilita' di colui che la rende, non potendo certo ritenersi che il testimone sia assistito<br />

da una presunzione assoluta di credibilita'). Da cio' deriva che non ha senso quella<br />

distinzione, dovendo riconoscersi alle une e alle altre identica attitudine alla dimostrazione.<br />

Peraltro, la decisione finale del giudice sulla colpevolezza dell'imputato contro il quale<br />

militino esclusivamente prove indirette deve essere raggiunta (e dei vari passaggi dovra'<br />

fornire correttamente conto la sentenza) attraverso una serie di sillogismi che consenta la<br />

ricostruzione del fatto da provare, seguendosi il criterio detto della "congruenza narrativa"<br />

che abbia superato le due verifiche della "giustificazione esterna" e della "giustificazione<br />

interna". Sulla logicita' della motivazione va esercitato il sindacato del giudice di<br />

legittimita', sottraendosi a censure la sentenza la cui motivazione validamente resista al<br />

controllo della sua razionalita' formale e sostanziale”.<br />

In modo peculiare la valutazione dell’attendibilità della testimonianza in un<br />

sistema come il nostro improntato al principio del libero convincimento pone, la risoluzione<br />

di diverse problematiche connesse all’esclusione di eventuali errori di percezione,<br />

mnemonici, ovvero di propositi calunniatori o indici rivelatori di interesse a sostenere una<br />

determinata tesi dell’accusa o della difesa da parte di un soggetto processuale che per<br />

definizione dovrebbe essere estraneo rispetto ai fatti oggetto di accertamento.<br />

Prima valutazione che si impone al giudice è quindi quella, espressamente prevista<br />

dalla norma di cui all’art. 194 c. 2 c.p.p., relativa all’esistenza di eventuali rapporti di<br />

parentela o interesse del testimone con le parti del processo onde stabilirne la sua<br />

indifferenza o meno rispetto all’esito dell’accertamento giudiziale, con il risultato che dovrà<br />

conferirsi tanto piu’ credibilità al teste quanto piu’ lo stesso risulti disinteressato.<br />

<strong>La</strong> legge, poi, a garanzia dell’attendibilità del teste e della sua narrazione pone<br />

norme che gli impongono il dovere di dire la verità (oggi non piu’ giuramento bensì piu’<br />

laicamente “impegno di verità” cfr. artt. 497 e 207 c.p.p.) sanzionando la violazione di tale<br />

dovere ai sensi dell’art. 372 c.p..<br />

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