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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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associazione mafiosa, è stato successivamente palesato all'udienza del 10/10/1994, quando,<br />

venute meno le predette esigenze, il collaborante ha dichiarato che era il dott. Ignazio<br />

D'Antone.<br />

Il collaborante ha spiegato che, solo a seguito della strage che aveva coinvolto il<br />

Procuratore Borsellino, al quale era stato legato da un particolare vincolo di affetto e<br />

riconoscenza, era prevalso in lui il senso del dovere morale nei suoi confronti rispetto<br />

all'iniziale timore di riferire alcune notizie in suo possesso ed aveva deciso, quindi, di<br />

collaborare senza altre remore con gli organi inquirenti (" dopo che lui aveva perso la vita<br />

per la giustizia, ritenni che la mia vita valesse molto di meno, e, quindi, la paura venne<br />

meno, non in maniera totale, i miei timori li avevo e li continuo ad avere tutt'oggi, ma<br />

ritengo che sia un mio dovere verso chi è morto" f. 39 trascr. ud. 27/4/1994).<br />

<strong>La</strong> difesa, in sede di controesame, ha espressamente chiesto al collaborante come<br />

mai egli, che si fidava tanto del dott. Borsellino, non avesse ritenuto di informarlo che<br />

all'interno dell'Alto Commisario vi era un uomo, a suo dire, colluso con "Cosa Nostra"; lo<br />

Spatola, sul punto, ha dichiarato che all'epoca l'Alto Commissario era l'unico organismo<br />

preposto alla tutela dei pentiti, pertanto, avendo già compiuto il passo della collaborazione<br />

con la giustizia ed al contempo non potendo chiedere di essere protetto da altre Autorità,<br />

aveva ritenuto di autotutelarsi in quel modo, non svelando agli inquirenti le notizie in suo<br />

possesso sia sul dott. D'Antone che sul dott. Contrada ("non potevo dirgli che non<br />

desideravo essere protetto dall'Alto Commissario perchè c'era quella struttura a protezione<br />

dei pentiti"......" pensai che tacendo ....avrei salvato la vita...la vidi così, l'ho pensata in<br />

questo modo". cfr. ff. 122 e ss trascr. ud. 27/4/1994).<br />

Per quanto riguarda le notizie apprese sull'odierno imputato, lo Spatola ha riferito di<br />

avere saputo da Rosario Caro con cui si trovava la prima volta che aveva avuto modo di<br />

incontrare il dott. Contrada, che quest'ultimo era un massone, " a disposizione<br />

dell'organizzazione Cosa Nostra" (cfr. ff. 18 e ss., in sede di esame, e ff. 51 e ss., 95 e ss. in<br />

sede di controesame- udienza del 27/4/1994). L'incontro era avvenuto nella Primavera del<br />

1980 all'interno di un ristorante di Sferracavallo (paese sul mare in provincia di Palermo),<br />

denominato " Il Delfino" gestito da tale Antonio, cognato di "don Ciccio Carollo", uomo<br />

d'onore e massone palermitano esercente l'attività di commercio all'ingrosso di bibite ed<br />

acque minerali, con cui i fratelli Caro avevano un ottimo rapporto di fratellanza e di<br />

comunanza di interessi avendolo favorito nell'acquisto di alcuni terreni in territorio di<br />

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