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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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5/7/1988); secondo altro indirizzo, piu’ rigoroso, l’elemento di riscontro doveva avere<br />

natura oggettiva e veniva prevalentemente individuato nelle cosiddette prove orali e nelle<br />

ricognizioni.<br />

Nettamente contrapposto a tale orientamento era quello che, invece, riteneva<br />

sufficiente il solo riscontro intrinseco alle dichiarazioni del coimputato; secondo tale<br />

orientamento, l’art. 348 bis del c.p.p era l’estrinsecazione di un sistema orientato a premiare<br />

collaborazioni e a stimolare confessioni (in tal senso cfr. CASS. 22/11/1988 in Riv. Pen.<br />

1989, 1238).<br />

Sotto tale profilo si riteneva sufficiente che la chiamata di correo fosse stata<br />

positivamente delibata dal giudice alla stregua dei criteri della univocità, verosimiglianza,<br />

reiterazione, disinteresse, in modo tale da escludere intenti calunniatori (cfr. CASS.<br />

27/4/1987).<br />

Il contrasto giurisprudenziale venne, in seguito, superato dalla pronuncia a sezioni<br />

unite della Suprema Corte in data 18/2/1988, nella quale, da un lato venne esclusa<br />

l’esistenza di una generale presunzione di sospetto e quindi di inaffidabilità delle<br />

dichiarazioni provenienti da determinati soggetti (c.d. pentiti) e dall’altro venne affermato il<br />

principio della necessità di elementi estrinseci di conferma, atteso che l’efficacia probante<br />

della chiamata di correo non poteva essere desunta soltanto da elementi intrinseci.<br />

Proprio traendo spunto dal dibattito dottrinale e giurisprudenziale sviluppatosi sotto<br />

il vigore del vecchio codice il legislatore del 1988 ha introdotto con l’art. 192 c.p.p. c. III<br />

una regola positiva di valutazione destinata ad operare con riguardo alle dichiarazioni rese<br />

dai coimputati del medesimo reato ovvero di reati connessi o collegati.<br />

L’esplicita previsione di tale regola di giudizio, valutata nel complessivo contesto<br />

della disposizione di cui all’art. 192 c.p.p., lungi dal costituire un limite al riaffermato<br />

principio del libero convincimento indica, piuttosto, il criterio argomentativo che il giudice<br />

deve adottare per fare assurgere le dichiarazioni di taluni soggetti processuali al rango di<br />

prova imponendogli a tal riguardo un piu’ rigoroso impegno motivazionale.<br />

In tal senso cfr. CASS. SEZ. 1 SENT. 06992 DEL 16/06/92<br />

“Il terzo comma dell'art. 192 cod. proc. pen. non introduce una deroga o una<br />

restrizione quantitativa allo spazio del libero convincimento del giudice, e neppure e' volto<br />

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