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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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Orbene, se davvero Riccobono avesse voluto vantarsi con il Mutolo non avrebbe<br />

riconosciuto ad altro uomo d’onore il “merito” di avere “avvicinato” Contrada, azione che<br />

dal punto di vista della predetta organizzazione criminale, deve ritenersi sia stata di<br />

particolare pregio avendo consentito di piegare alle sue strategie un funzionario di grande<br />

livello, già ritenuto un temuto avversario da “Cosa Nostra”.<br />

Non può, poi trascurarsi di considerare che nello specifico episodio relativo al<br />

Siracusa, cugino di Mutolo, il Riccobono non aveva alcunchè di cui vantarsi e che non era<br />

stato lui a prendere l’iniziativa della rivelazione concernente l’imputato bensì era stato piu’<br />

volte sollecitato a fornire sull’accaduto spiegazioni, che hanno trovato riscontro in elementi<br />

esterni. Deve ancora aggiungersi che i riferiti episodi concernenti il dialogo con Antonino<br />

Porcelli e quello con gli altri soggetti cointeressati con Mutolo nel traffico della partita di<br />

droga, per caso sfuggita alla perqusizione domiciliare eseguita presso la sua abitazione, oltre<br />

agli altri argomenti già dedotti, consentono di escludere definitivamente la fondatezza della<br />

tesi difensiva della millanteria. Infatti in tali casi Mutolo aveva appreso da plurime fonti,<br />

tutte identificabili in esponenti di spicco di “Cosa Nostra” che il ruolo svolto dall’imputato<br />

era quello di “disponibilità” nei confronti dell’organizzazione nel suo complesso e non<br />

soltanto in favore del Riccobono.<br />

L'imputato è sempre stato deciso nel negare in modo assoluto ogni forma di<br />

rapporto con il Riccobono, sia pure di natura confidenziale. Al riguardo si osserva che tal<br />

genere di rapporto, seppur in molti casi di ambigua interpretazione, era certamente<br />

ampiamente diffuso, e sotto certi aspetti necessitato, nel periodo in cui l’imputato aveva<br />

svolto la propria attività a Palermo (antecedente all’affermarsi del c.d. “pentitismo”, come<br />

fenomeno generalizzato e sottoposto a regolamentazione giuridica).<br />

Su tale punto lo stesso Prefetto Vincenzo Parisi, già capo della Polizia e Direttore del<br />

S.I.S.D.E., ha affermato, nel corso della propria deposizione all’odierno dibattimento, che<br />

prima che si realizzasse a livello normativo l’istituto giuridico del “pentitismo” le modalità<br />

di acquisizione delle informazioni utili per operare erano legate essenzialmente al rapporto,<br />

talvolta equivoco e di apparente contiguità, che si instaurava tra operatori della Polizia<br />

giudiziaria ed elementi inseriti nel mondo criminale (confidenti). L’equivocità del rapporto<br />

consisteva spesso nel fatto che l’operatore di Polizia affermava di avere acquisito una sua<br />

fonte in ambiente criminale e la stessa fonte, dal canto suo, sosteneva di avere “contattato”<br />

in termini negativi l’operatore di Polizia. “ Non era possibile acquisire informazioni in<br />

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