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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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avvisato durante la latitanza da poliziotti nell’imminenza di operazioni di Polizia<br />

(“rivugghiu”).<br />

Questa affermazione ha trovato un’importante conferma, con specifico riferimento<br />

all’imputato, nelle dichiarazioni rese da altro collaboratore di Giustizia Giuseppe Marchese<br />

(di cui si dirà), il quale essendo particolarmente vicino a Salvatore Riina, aveva appreso uno<br />

specifico episodio di avvertimento fatto dall’imputato in suo favore (cfr. episodio villa<br />

Borgo Molara - ud. 22/4/1994).<br />

Tale specifico episodio dimostra che quando il mafioso Riina aveva iniziato la<br />

propria scalata al vertice di “Cosa Nostra”, aveva man mano acquisito quelle relazioni con<br />

esponenti collusi delle Istituzioni che gli avevano consentito di trascorrere una lunghissima<br />

latitanza a Palermo.<br />

Il collaborante, quindi, con le sue dichiarazioni ha fornito una chiave di lettura<br />

unitaria per comprendere lo stretto rapporto esistente tra l’ascesa al potere del Riina e<br />

l’evoluzione dei rapporti tra mondo istituzionale ed organizzazione mafiosa: da una parte<br />

l’ascesa al potere aveva fatto di Riina l'interlocutore necessario di quei settori dello Stato,<br />

già compromessi con “Cosa Nostra”, dall’altro proprio tali relazioni ne avevano agevolato la<br />

“crescita” all’interno dell’organizzazione criminale.<br />

<strong>La</strong> circostanza che egli non ha appreso lo specifico episodio noto al Marchese, se da<br />

un lato si giustifica per la particolare natura dei rapporti esistenti tra il Marchese ed il Riina,<br />

e trova conferma in quel regime di particolare segretezza delle notizie di cui ha parlato lo<br />

stesso Cancemi con riferimento all’avvento dei “corleonesi”, dall’altro fa venir meno ogni<br />

sospetto circa propositi calunniatori da parte del predetto nei confronti dell’imputato ed ogni<br />

ipotesi di millanteria afferente le sue dichiarazioni. D’altra parte l’assoluta inesistenza di<br />

personali motivi di risentimento nei confronti dell’imputato, già evidenziata, è stata<br />

confermata dalla circostanza che nel periodo in cui il dott. Contrada aveva svolto la propria<br />

attività di P.G.a Palermo, Cancemi non era neppure noto come mafioso ma veniva<br />

considerato un semplice rapinatore di cui si era occupata la sezione anti-rapine della<br />

Squadra Mobile e non le sezioni anti-mafia o investigativa (cfr. sul punto dichiarazioni rese<br />

dall’imputato -ud. 16/12/1994 ff. 60 e ss.). Nello stesso modo, l’ipotesi della millanteria da<br />

parte di Giuseppe Calò e di Giovanni Lipari appare insostenibile sia in considerazione del<br />

particolare rapporto di fiducia esistente tra Cancemi e tali soggetti, posti al vertice della<br />

struttura della propria famiglia mafiosa di appartenenza, sia in virtu’ del fatto che nè Lipari<br />

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