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PDF, 3.421 KB - La Privata Repubblica

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assistito querelanti contro il settimanale “L’Espresso” in cause analoghe per diffamazione<br />

ed ha confermato che la linea del giornale era quella di cercare sempre di raggiungere<br />

componimenti delle controversie giudiziarie; ha anche ricordato che normalmente<br />

“l’Espresso” era solito concedere uno spazio sul proprio giornale al querelante per<br />

pubblicare la propria versione come forma di reintegrazione, ma in quel caso ciò non si era<br />

verificato perchè non era stato preteso (“ noi non lo pretendemmo, non lo chiedemmo,<br />

perchè quello che interessava soprattutto il dott. Contrada era di poter...per quel che<br />

ricordo sempre naturalmente, ma credo di avere ricordi precisi, il suo impegno era<br />

soprattutto di dimostrare la sua correttezza al Ministero, quindi a lui interessava<br />

soprattutto questo riconoscimento della sua estraneità a questa vicenda”).<br />

E’ certo, quindi, che nonostante il dott. Contrada, in quell’epoca alto funzionario<br />

dello Stato, fosse stato pubblicamente e reiteratamente accusato di un fatto gravissimo e<br />

nonostante il primo orientamento dei suoi superiori fosse stato quello di pretendere una<br />

soluzione giudiziaria della controversia, dopo alcuni mesi aveva aderito ad una soluzione di<br />

composizione benevola che lo aveva indotto a rimettere l’atto di querela senza pretendere<br />

una riabilitazione pubblica, attraverso la pubblicazione dell’ammissione di infondatezza<br />

delle accuse da parte del giornale “l’Espresso”; la mancata divulgazione della lettera a firma<br />

di Chiodi e Valentini conferma che la soluzione adottata nella controversia era una<br />

soluzione formale, che prescindendo dal reale merito delle questioni, era apparsa<br />

vantaggiosa ad entrambe le parti: l’Espresso aveva ottenuto di chiudere una vertenza<br />

giudiziaria, in aderenza con la linea seguita in anologhe vicende, il dott. Contrada aveva<br />

ottenuto un documento che gli serviva per risolvere tempestivamente la situazione di<br />

estremo disagio che si era venuta a creare all’interno dell’Amministrazione cui apparteneva.<br />

L’imputato ha asserito che l’articolo a firma di Roberto Chiodi era stato lo strumento<br />

di una piu’ ampia manovra di delegittimazione condotta dalla stampa non tanto contro la sua<br />

persona ma contro il Servizio cui apparteneva; ha sostenuto l’assunto affermando che il<br />

giornalista Chiodi, che pure come da lui stesso ammesso non aveva alcun motivo di<br />

risentimento nei suoi confronti, aveva inserito nell’articolo riguardante Tognoli anche altre<br />

notizie calunniose ed ha incentrato la sua difesa principalmente su due argomenti : uno<br />

riguardante l’inesattezza delle notizie riferite sull’episodio del riconoscimento fotografico<br />

effettuato dalla vedova Mattarella (eseguito nell’Agosto 1980 ed avente ad oggetto la<br />

fotografia di Salvatore Inzerillo e non quella di Mario Prestifilippo come sostenuto<br />

nell’articolo), l'altro sull’asserito rapporto confidenziale con il libanese Ghassan di cui in<br />

realtà si era occupato il dott. Antonino De Luca all’epoca Dirigente della Criminalpol (“<br />

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