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Quando la profezia diventa storia - Adelio Pellegrini

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APPENDICE N. 7<br />

2. Se fosse stato un anonimo che avesse voluto farsi passare per apostolo sarebbe stato<br />

senz’altro più preciso. I suoi destinatari sapevano bene che il suo nome, Giovanni, si<br />

identificava con l’apostolo. Se si presenta come profeta è perché si considera investito per<br />

tale missione e deve far conoscere una rive<strong>la</strong>zione ricevuta.<br />

3. Questa obiezione contraddice <strong>la</strong> precedente. Giovanni, riportando <strong>la</strong> visione avuta, non<br />

poteva tacere quanto visto a meno di peccare di falsa modestia.<br />

4. Se è vero che il greco dell’Evangelo è c<strong>la</strong>ssico mentre quello dell’Apocalisse è corrotto, i<br />

motivi sono diversi. Giovanni usa il linguaggio del popolo, dell’Asia preconso<strong>la</strong>re, quello<br />

che forse usava nelle sue predicazioni. La ragione principale sta nel fatto che l’autore<br />

dell’Apocalisse scrive sì in greco, ma pensa in ebraico. Che <strong>la</strong> sintassi del<strong>la</strong> frase sia in<br />

aramaico e lo scritto in greco lo si riconosce nelle ripetizioni dei parallelismi, nelle scarse<br />

varianti nelle forme di transizione e riproduzioni letterali di ebraismi. Non si devono<br />

sottovalutare le diverse condizioni ambientali nelle quali questi due scritti vengono<br />

composti. Giovanni scrive l’Apocalisse a Patmo, è in esilio, in prigione, forse deve<br />

compiere anche dei <strong>la</strong>vori forzati. Scrive le sue visioni forse anche c<strong>la</strong>ndestinamente, di<br />

getto e con il linguaggio che conosce. L’Evangelo, per contro, è scritto nel<strong>la</strong> tranquillità di<br />

Efeso e molto probabilmente Giovanni si è fatto aiutare nel<strong>la</strong> redazione e nel<strong>la</strong> revisione<br />

linguistica. Inoltre <strong>la</strong> diversità di linguaggio tra l’Evangelo e l’Apocalisse è data anche<br />

dal<strong>la</strong> diversità del genere letterario usato per i due scritti. Il genere apocalittico è più<br />

complesso di quello storico e narrativo dell’Evangelo. Contrariamente a quanto<br />

generalmente i critici scrivono, tra le due opere c’è una comparazione di vocabo<strong>la</strong>rio più<br />

grande di quanto non si creda, constata E. A. Allo (o.c., pp. CXLIV-CLXX, CXCIX-<br />

CCVI). Il fatto che in una medesima visione ci siano i tempi verbali al presente, al futuro e<br />

a volte al passato, manifesta <strong>la</strong> caratteristica del linguaggio dei profeti. «Anche leggendo<br />

in una traduzione alcuni passi come Apocalisse 1:1,2,4-8; 2:1-5; 3:19-22; 5:9-14; 7:9-17;<br />

21:1-6; 22, bisogna, secondo l’espressione di un grande critico, avere l’orecchio pesante<br />

per non riconoscere il suono cristallino del<strong>la</strong> voce di Giovanni» (L. Bonnet, o.c., t. IV, p.<br />

323).<br />

L’Apocalisse descrive <strong>la</strong> lotta tra il bene e il male servendosi di immagini; l’Evangelo <strong>la</strong><br />

descrive in forma morale con le parole: luce, tenebre; verità, menzogna; vita, morte.<br />

«L’autore dell’Apocalisse è proprio lo stesso dell’Evangelo e delle Epistole, cioè Giovanni<br />

figlio di Zebedeo. La tradizione è moralmente unanime nell’affermarlo. La critica interna lo<br />

conferma. Poiché <strong>la</strong> filologia, a dispetto di un certo numero di partico<strong>la</strong>rità divergenti nel<strong>la</strong><br />

grammatica - e il vocabo<strong>la</strong>rio soprattutto stabilisce l’esistenza di una lingua giovannea<br />

comune, <strong>la</strong> comparazione delle dottrine (logos, punti di vista sintattici, trascendenza<br />

dell’escatologia), rive<strong>la</strong> almeno una scuo<strong>la</strong> di pensiero giovannea. La critica propriamente<br />

letterale ci porta più lontano; essa ci fa scoprire una immaginazione giovannea spontanea e<br />

un’arte giovannea riflettuta, talmente unite, talmente personali, che rendono inverosimili<br />

l’attribuzione dei diversi scritti giovannei a due omonimi. All’opera si conosce l’operaio;<br />

questo operaio è unico, è colui che <strong>la</strong> tradizione ha indicato sempre, quando dei pregiudizi<br />

dottrinali non lo fanno deviare dal<strong>la</strong> sua linea anteriore» (E. Allo, o.c., p. CCXXI).<br />

Osserva l’abate A. Crampon: «Se dunque l’Apocalisse canonica è pseudonima, essa<br />

sarebbe stata attribuita a S. Giovanni quando ancora era vivente, o subito poco tempo dopo <strong>la</strong><br />

sua morte; ma è concepibile che il falsario abbia avuto l’ardire di indirizzare <strong>la</strong> sua opera<br />

apocrifa precisamente alle sette chiese che erano state in rapporto intimo con l’apostolo<br />

Giovanni, in mezzo alle quali aveva passato gli ultimi anni del<strong>la</strong> sua lunga vita?» (A.<br />

Crampon, o.c., p. 419).<br />

«Avendo esaminato l’ipotesi del<strong>la</strong> pseudonomia, CHARLES conclude in modo perentorio:<br />

“Non esiste <strong>la</strong> minima prova, nemmeno l’ombra di una probabilità, in favore dell’ipotesi che<br />

1038<br />

<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>profezia</strong> <strong>diventa</strong> <strong>storia</strong>

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