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Quando la profezia diventa storia - Adelio Pellegrini

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«Molti, vedendolo, sono rimasti sbigottiti / (tanto era disfatto il suo sembiante / sì<br />

da non sembrare più un uomo, / e il suo aspetto sì da non assomigliare più a un figlio<br />

d’uomo)».<br />

Il Servitore, il Signore, soffre non per lui, ma per noi: «Noi lo reputavamo colpito,<br />

/ battuto da Dio, ed umiliato! / Erano le nostre ma<strong>la</strong>ttie ch’egli portava, / erano i<br />

nostri dolori quelli di cui s’era caricato... / È stato trafitto a motivo delle nostre<br />

trasgressioni, / fiaccato a motivo delle nostre iniquità». 64<br />

In queste parole d’Isaia c’è il significato dell’espiazione. È “a causa” dei peccati<br />

del suo popolo che il giusto soffre, porta le loro iniquità, subisce <strong>la</strong> pena che hanno<br />

meritato. Sebbene il Servo dell’Eterno si sia caricato delle nostre iniquità, non si è<br />

però contaminato con il male. Prende su di sé i nostri peccati in quanto ne porta <strong>la</strong><br />

pena, le conseguenze. Il profeta insiste su questo punto: sottolinea l’opposizione tra<br />

l’apparenza e <strong>la</strong> realtà: gli uomini lo vedono trattato come peccatore, l’hanno creduto<br />

colpevole e oggetto del<strong>la</strong> collera di Dio mentre, innocente, compiva una missione<br />

divina.<br />

«Il castigo, per cui abbiamo pace, è stato su di lui, / e per le sue lividure noi<br />

abbiamo avuto guarigione».<br />

Questa salvezza, questa guarigione, è <strong>la</strong> vita, <strong>la</strong> grazia di Dio offerta al peccatore e<br />

da lui accettata, è <strong>la</strong> giustizia accettata da coloro che prima erano colpevoli: «Il mio<br />

Servo, il Giusto, renderà giusti i molti».<br />

Come il credente si è identificato con il Servo dell’Eterno, così si è identificato<br />

pure con l’Agnello di Dio senza peccato, mediante l’imposizione del<strong>la</strong> sua mano, <strong>la</strong><br />

cui vita, raffigurata dal sangue, viene presentata davanti all’Eterno in segno di<br />

consacrazione e di comunione.<br />

Oltre all’idea che qualcuno sarebbe venuto per purificare il peccato, cioè liberare<br />

l’uomo dal suo male, il sacrificio esprimeva <strong>la</strong> volontà dell’adoratore di consacrarsi a<br />

Dio. Il peccato che si commetteva «contaminava il santuario e profanava il santo<br />

nome» dell’Eterno. 65<br />

<strong>Quando</strong> tutto Israele peccava o il sacerdote commetteva una infedeltà dopo che <strong>la</strong><br />

mano degli anziani o del sacerdote erano state poste sul<strong>la</strong> vittima e questa era stata<br />

sacrificata, «il sacerdote che ha ricevuto l’unzione prenderà del sangue... e lo porterà<br />

dentro al<strong>la</strong> tenda di convegno; e il sacerdote intingerà il suo dito nel sangue, e farà<br />

aspersione di quel sangue sette volte davanti all’Eterno, di fronte al velo del<br />

santuario. Il sacerdote quindi metterà di quel sangue sui corni dell’altare del profumo<br />

fragrante, altare che è davanti all’Eterno, nel<strong>la</strong> tenda di convegno; e spanderà tutto il<br />

sangue... appiè dell’altare degli olocausti, che è all’ingresso del<strong>la</strong> tenda di<br />

convegno». 66<br />

64<br />

Isaia 52:14; 53:4,5. Per dodici volte Isaia ribadisce l’idea che il Servo si è caricato dei nostri mali: 53:4a,b,c,d,<br />

6c, 8d, 10a, 11d, 12d,e.<br />

65<br />

Levitico 20:3; vedere 18:21;15:31.<br />

66<br />

Levitico 4:5-7,15-18; Numeri 15:24. Per il peccato di un capo del popolo il sangue veniva portato nel luogo<br />

santo; vedere 4:25,30.

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