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Quando la profezia diventa storia - Adelio Pellegrini

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dell’industria, del<strong>la</strong> vita sociale in tutte le sue manifestazioni». 160 Il peccato ha creato<br />

nell’uomo una propensione al male, cioè ha posto una forza irresistibile nel suo essere<br />

che lo porta naturalmente al<strong>la</strong> rivolta cosciente e voluta nei confronti di Dio. 161<br />

Affinché l’uomo potesse riavere <strong>la</strong> gloria, Dio è sceso in mezzo all’umanità, ha<br />

offerto se stesso per <strong>diventa</strong>re per gli uomini, mediante un corpo umano glorioso, lo<br />

spirito vivificante. Chi è santificato in Cristo Gesù può passare al<strong>la</strong> gloria di Dio.<br />

«Non vi è dunque ora alcuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù; perché <strong>la</strong><br />

legge dello Spirito del<strong>la</strong> vita in Cristo Gesù mi ha affrancato dal<strong>la</strong> legge del peccato e<br />

del<strong>la</strong> morte. Poiché quel che era impossibile al<strong>la</strong> legge, perché <strong>la</strong> carne <strong>la</strong> rendeva<br />

debole, Iddio l’ha fatto; mandando il suo proprio Figlio in carne simile a carne del<br />

peccato 162 e, a motivo del peccato, ha condannato il peccato nel<strong>la</strong> carne, affinché il<br />

comandamento del<strong>la</strong> legge fosse adempiuto in noi, che camminiamo non secondo <strong>la</strong><br />

carne, ma secondo lo spirito». 163 Cristo Gesù “ha condannato il peccato nel<strong>la</strong> carne”<br />

cioè nel<strong>la</strong> carne del Cristo, <strong>diventa</strong>to uomo mortale e rappresentante del<strong>la</strong> nostra<br />

umanità di modo che il peccato condannato, distrutto nel<strong>la</strong> sua potenza, ha da quel<br />

momento perduto ogni suo diritto su coloro che sono in Cristo, e non sono più<br />

debitori al<strong>la</strong> carne». 164<br />

Giovanni, nel<strong>la</strong> sua prima lettera, scrive: «Diletti, ora siamo figli di Dio e non è<br />

ancora reso manifesto quel che saremo. Sappiate che quando Egli sarà manifestato<br />

160 GODET Frédéric, Commentaire sur <strong>la</strong> I épître aux Corinthiens, t. II, Neuchâtel 1887, p. 420.<br />

161 Romani 5:12.<br />

162 «La locuzione abbastanza complessa en omoiomati sarkos amartis “nel<strong>la</strong> rassomiglianza di una carne di peccato”,<br />

è stata formu<strong>la</strong>ta dall’Apostolo con una cura partico<strong>la</strong>re. Se egli avesse detto: en sarki amartia “in carne di peccato”,<br />

sarebbe sembrato che gli attribuisse un minimo di peccato, come hanno fatto Menken, Irving, Holsten, etc., il che<br />

sarebbe in contraddizione con 2 Corinzi 5:21. Se avesse scritto: en emoiomati sarkos, “in rassomiglianza di carne”,<br />

avrebbe attribuito a Gesù soltanto una apparenza corporale e avrebbe insegnato il docetismo... Paolo ha evitato questi<br />

due scogli con l’espressione che ha usato, espressione nel<strong>la</strong> quale il termine rassomiglianza non si riferisce so<strong>la</strong>mente<br />

al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> carne, ma al<strong>la</strong> locuzione intera carne di peccato. Gesù è stato realmente rivestito di carne, proprio come<br />

noi; <strong>la</strong> sostanza del suo corpo è stata materiale e sensibili come quel<strong>la</strong> del nostro corpo, ma <strong>la</strong> sua carne non è stata,<br />

come <strong>la</strong> nostra, una carne di peccato, cioè al<strong>la</strong> quale si sia attaccato il peccato. Questa espressione ricorda quel<strong>la</strong> del<br />

corpo del peccato (6:6) il cui senso era non che il corpo è per sua natura contaminato dal peccato, ma che, nel<strong>la</strong><br />

condizione dell’umanità attuale, esso è per <strong>la</strong> sua cupidigia l’agente abituale del peccato. L’espressione “carne di<br />

peccato” va tuttavia ancora più lontano. La carne indica, in senso letterale, le parti molli del corpo sensibili al piacere e<br />

al dolore, poi in senso neutro (moralmente par<strong>la</strong>ndo) questa stessa sensibilità che in sé non è buona né cattiva, e infine,<br />

in senso sfavorevole, <strong>la</strong> dominazione ereditaria ed istintiva che esercita sul<strong>la</strong> volontà dell’uomo decaduto <strong>la</strong> ricerca del<br />

piacere e il timore del<strong>la</strong> sofferenza. Questa dominazione costituisce <strong>la</strong> carne del peccato. Gesù ha posseduto <strong>la</strong> carne<br />

nei primi due sensi; nel terzo non ne ha avuto che <strong>la</strong> rassomiglianza, le apparenze. (Per quale ragione il Figlio di Dio è<br />

venuto in carne simile a carne di peccato e non nel suo stato divino?). Questa ragione è indicata dalle parole: “kai<br />

pari amartias”, e per il peccato... Se l’uomo fosse stato ancora nello stato normale, l’apparizione del Figlio non<br />

avrebbe dovuto prendere questo carattere anormale. Ma vi era un fatto contro natura da distruggere: il peccato. Ed è<br />

ciò che ha reso necessaria <strong>la</strong> venuta del Figlio in una carne simile al<strong>la</strong> nostra carne peccatrice. Tutta <strong>la</strong> vita di Cristo è<br />

stata <strong>la</strong> condanna del peccato. La carne era presente in lui come lo è in noi, offrendo incessantemente accesso a tutte le<br />

tentazioni che derivano dal piacere o dal dolore; tuttavia Egli è sempre rimasto fermo rifiutando ogni inserimento del<br />

peccato nel<strong>la</strong> sua volontà e nel<strong>la</strong> sua attività. In una carne del<strong>la</strong> stessa natura del<strong>la</strong> nostra Egli ha mantenuto il peccato<br />

estraneo al<strong>la</strong> sua persona, e con questa esclusione perseverante, assoluta, Egli lo ha dichiarato indegno di esistere<br />

nell’umanità. Quello che <strong>la</strong> legge ha fatto in un certo modo sul<strong>la</strong> carta, Egli l’ha fatto nel<strong>la</strong> carne, quel<strong>la</strong> carne per<br />

mezzo del<strong>la</strong> quale il peccato cattura <strong>la</strong> volontà e <strong>la</strong> spinge al<strong>la</strong> disubbidienza» GODET Frédéric, Commentaire sur<br />

l’Épître aux Romains, Neuchâtel, t. I, 1890, pp. 146,147.<br />

163 Romani 8:1-4.<br />

164 L. Bonnet, o.c., t. III, L’Épître aux Romains, p. 90.

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