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Quando la profezia diventa storia - Adelio Pellegrini

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CAPITOLO XIII<br />

516<br />

egli giunse fino al vegliardo e fu fatto accostare a lui.<br />

E gli furono dati dominio, gloria e regno,<br />

perché tutti i popoli, le nazioni e le lingue lo servissero;<br />

il suo dominio è un dominio eterno<br />

che non passerà, e il suo regno, un regno<br />

che non sarà distrutto». 91<br />

Esaminando questo brano non si può non concludere che il giudizio si svolge nello<br />

stesso tempo in cui <strong>la</strong> <strong>storia</strong> sul<strong>la</strong> terra continua, prima del grande giorno.<br />

Daniele dice: «Io continuavo a guardare». «La ripresa di questa espressione indica<br />

che sta avvenendo qualcosa di nuovo». 92 «Dei troni», ciò fa supporre un tribunale che<br />

si compone di giudici, «furono collocati». 93<br />

«Un antico dei giorni si assise». Questo antico dei giorni è l’Eterno stesso: «Il<br />

vivente dell’eternità». 94 La sua «veste era bianca come <strong>la</strong> neve 95 e i capelli del suo<br />

essere stabilito che dal Messia; tutto ciò mostra che il personaggio in questione non potrebbe essere che il Messia».<br />

Leone TONDELLI, Il Disegno divino nel<strong>la</strong> Storia, Torino 1947, p. 154, spiega:. «Al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> <strong>profezia</strong> (versetto 27), il<br />

regno sembra essere conferito al popolo dei santi, del quale si è potuto concludere che l’espressione Figlio dell’Uomo<br />

indichi una collettività; nello stesso modo che gli imperi precedenti erano rappresentati da bestie feroci, così il regno<br />

dei santi sarebbe rappresentato dal Figlio dell’Uomo. Ma il regno dato ai santi dall’Altissimo non esclude un re al<br />

quale questo regno è conferito. La scena nel<strong>la</strong> quale il Figlio dell’Uomo è presentato all’Antico dei giorni che gli<br />

conferisce un potere illimitato (versetti 13,14), riveste dei caratteri strettamente personali. Il valore personale è<br />

confermato da una parte dal<strong>la</strong> concezione profetica anteriore che univa il regno messianico a un re davidico, e<br />

dall’altra parte dall’interpretazione data più tardi da Gesù Cristo stesso». Vedere Eusebio in MIGNE, P.G., XXIV, col.<br />

525, 526; stesso pensiero in J.C.L. COPPENS, Miscel<strong>la</strong>nea Bibliques, 1970, pp. 55-108; F. OGARA, pp. 228-232; J.<br />

TYCIAK, p. 15; Ortensio da Spineto<strong>la</strong> URBANELLI, pp. 597-600. Per i titoli delle opere vedere <strong>la</strong> Bibliografia.<br />

91 Daniele 7:9-14. Per il versetto 12 vedere versione Sisto-Clementina, Rinaldi.<br />

Nel capitolo 7 Daniele ha tre parti importanti scritti in poesia: versetti 9,10,13,14,23,27. I primi due sono nel<br />

nostro testo e descrivono le scene celesti. Solo le scene celesti sono descritte in poesia. Nessuna scena terrestre è<br />

riportata in poesia, e nessuna scena celeste è descritta in prosa. La distinzione dei due generi letterali riteniamo che sia<br />

volutamente intenzionale. Alle «potenze che salgono dal mare, l’autore sacro contrappone una scena celeste di elevata<br />

e pacata serenità. I versetti 9,10,13,14 hanno una struttura ritmica; anche il linguaggio assume una tonalità elevata e<br />

misurata, quale si conviene al mondo celeste» W. KESSLER, Zwischen Gott und Weltmacht, CalwK 22, 1956, p. 91; cit.<br />

da SCHEDL C<strong>la</strong>ud, Storia dell’Antico Testamento, ed. Paoline, Roma, 1966, p. 69.<br />

92 La Bible Annotée, o.c., Les prophètes, t. II, Daniel, p. 289.<br />

93 La paro<strong>la</strong> “remiv” dell’originale può appartenere a due verbi diversi: “rum” o “ramah”, che il profeta usa<br />

sovente e che vogliono dire: “essere elevato”, “innalzato”, e “gettato giù”, “rovesciato”. Nel primo senso<br />

indicherebbe il trono di Dio quale giudice e quelli degli angeli quali suoi assessori che siedono attorno a lui a migliaia.<br />

Nel secondo senso i troni sono “gettati giù” dal cielo. «Sembra che si debba presentare questo giudizio come se si<br />

passasse sul<strong>la</strong> terra o almeno tra cielo e terra» Idem. In questo senso si può pensare ai santi, cioè al<strong>la</strong> Chiesa,<br />

testimone del giudizio di Dio e lo annuncia al mondo con le parole: «Temete Iddio e dategli gloria perché l’ora del suo<br />

giudizio è giunta» Apocalisse 14:6. Entrambe le spiegazioni possono essere accettate.<br />

94 Deuteronomio 33:27. «Antico dei giorni, espressione che ricorre quasi identica nei papiri di Elefantina, è Dio<br />

(confr. Apocalisse 1:14-16) <strong>la</strong> cui longevità eterna è considerata in una serie infinita di giorni. Il concetto ha origini<br />

bibliche (Giosuè 36:26; Salmo 102:24-28; Isaia 41:4; ecc.) e non ha bisogno d’essere derivato dal vecchio Abzu del<strong>la</strong><br />

cosmogonia babilonese, né da Kronos o dal dio Tempo del mondo hurrita-hittita, né da Zeus, né dal mondo dei Fenici<br />

e dei Cartaginesi. Il trono di Dio si distingue per il fuoco inteso come variazione (Ezechiele 1:13; 10:2) del<strong>la</strong> solita<br />

messa in scena delle teofanie tra <strong>la</strong>mpi e tuoni (Esodo 3:2 e seg.; 19:18; 20:18) per designare l’inaccostabilità divina.<br />

Non si deve vedere l’influsso del persismo nel giudizio tramite il fuoco e nei metalli fusi o del fuoco purificatore<br />

elemento degli stoici. Nel<strong>la</strong> Bibbia il fuoco è l’elemento proprio del<strong>la</strong> divinità (Deuteronomio 4:24; 33:2; 1 Timoteo<br />

6:18; Ebrei 12:29) e l’espressione simbolica dell’ira divina (Atti 7:4 e seg.; Salmo 50:3; Nahum 1:6)» VATTIONI<br />

Francesco, La Bibbia, t. II, Daniele, ed. Marietti, pp. 1087,1088.<br />

95 Simbolo del<strong>la</strong> purezza perfetta (Marco 9:3).<br />

<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>profezia</strong> <strong>diventa</strong> <strong>storia</strong>

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