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Quando la profezia diventa storia - Adelio Pellegrini

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considerare i 2300, 1290, e 1335 giorni di Daniele, come essendo altrettanti anni;<br />

questo non si può spiegare, a mio avviso, se questo principio di calcolo non sia stato a<br />

loro trasmesso interrottamente». 206<br />

Elliott nell’ambito del<strong>la</strong> cristianità scriveva che già: «dai tempi di Cipriano, verso<br />

<strong>la</strong> metà del III secolo, fino ai tempi di Gioacchino e dei valdesi, al XIII secolo, il<br />

principio d’interpretazione secondo il quale un giorno ha il valore di un anno è stato<br />

riconosciuto nel<strong>la</strong> Chiesa da una continuazione di commentatori; l’applicazione ne è<br />

stata fatta e con prova a sostegno, sia dall’uno che dall’altro dei periodi di giorni<br />

profetici, compreso il più corto che si riporta all’Anticristo». 207 Pur essendo stabilito il<br />

principio giorno-anno per i periodi profetici apocalittici, il maestro A.F. Vaucher<br />

precisa, a proposito dei 2300 giorni: «Non sembra che i teologi cristiani abbiano<br />

pensato di dare una interpretazione simbolica alle 2300 sere e mattine di Daniele VIII<br />

prima del XIII secolo. Dopo Giuseppe F<strong>la</strong>vio si era presa l’abitudine di applicare ad<br />

Antioco IV ciò che è detto del quinto corno. È poco tempo dopo <strong>la</strong> morte dell’abate<br />

Gioacchino († 1202) che per <strong>la</strong> prima volta nel<strong>la</strong> letteratura cristiana i 2300 giorni<br />

sono stati calco<strong>la</strong>ti come degli anni». 208<br />

Infatti è nel 1204 che per <strong>la</strong> prima volta, in un trattato cristiano, De Semina<br />

scripturarum - Del seme del<strong>la</strong> Scrittura - si trovano i 2300 giorni calco<strong>la</strong>ti come anni.<br />

Lo scritto è stato da principio attribuito a Gioacchino da Fiore e poi gli si è dato delle<br />

altre paternità. Il medico cata<strong>la</strong>no Arnaldo da Vil<strong>la</strong>nova (1240-1312) nel 1292 diede<br />

un commento al De Semina dello pseudo Gioacchino. 209 Scriveva: «Se si obietta che<br />

si tratta di centinaia di giorni, secondo le parole del<strong>la</strong> visione di Daniele, perché dice:<br />

duemi<strong>la</strong>trecento giorni, bisogna dire che per giorni intende degli anni, è quanto<br />

scaturisce chiaramente dal<strong>la</strong> spiegazione data dall’angelo quando dice che <strong>la</strong> visione<br />

si completa al<strong>la</strong> fine: ciò fa comprendere in modo chiaro che per giorni, in questa<br />

visione, si intendono anni. Poiché è detto che il numero conduce al<strong>la</strong> fine, sarebbe<br />

ridicolo dare al<strong>la</strong> paro<strong>la</strong> giorno il suo significato ordinario. Non è raro nel<strong>la</strong> scrittura<br />

designare degli anni per dei giorni. Questo uso è certo e frequente. È così che per<br />

esempio lo Spirito dice ad Ezechiele: “Io ti ho contato un giorno per un anno”». 210<br />

206 FABER Georges Stanley, Sacred Calendar of Prophecy, vol. I, ed. 1844, p. 34; cit. da A.F. Vaucher, o.c., p. 43.<br />

207 E.B. Elliott, o.c, p. 283.<br />

208 VAUCHER Alfred Félix, Jusques à quand, Seigneur?, Collonges sous Salève 1973, pp. 14,15.<br />

209<br />

Arnaldo da Vil<strong>la</strong>nova, Incipit introductio in librum Joachim de semine scripturum, 1292.<br />

210<br />

Cit. A.F. Vaucher, Jusques..., p. 18. Qualche anno dopo, Arnaldo ritorna sullo stesso problema nel Tractatus de<br />

tempore adventus Antichrist et fine mundi, <strong>la</strong> cui prima parte, che ci interessa è del 1297, ms Cod. Vat. <strong>la</strong>t. 3824, 2 a<br />

col., nel verso del fol. 60 e al<strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> colonna scriveva: «È evidente che i giorni non sono dei giorni ordinari,<br />

poiché i 2300 giorni ordinari non fanno che sei anni e centodieci giorni, e in questo caso <strong>la</strong> visione si sarebbe dovuta<br />

compiere al tempo di Daniele, e ciò sarebbe falso, come scaturisce chiaramente dalle parole dell’angelo: “<strong>Quando</strong> sarà<br />

completata <strong>la</strong> dispersione dei santi, tutte queste cose arriveranno al<strong>la</strong> loro fine”. È chiaro che questa dispersione, che<br />

corrisponde al<strong>la</strong> persecuzione universale del popolo fedele e santo, non si è completata al tempo di Daniele e non lo è<br />

ancora attualmente. Colui che conterà gli anni trascorsi dal terzo anno del regno di Belthazar, re di Babilonia, fino al<strong>la</strong><br />

venuta del Salvatore, e che aggiungerebbe questo numero agli anni di già passati dal<strong>la</strong> sua venuta, saprebbe senza<br />

alcun dubbio quanti anni ci restano fino a quando cesseranno tutte le generazioni e ogni corruzione. Allora non ci sarà<br />

più tempo, come l’ha detto Giovanni nell’Apocalisse. Ciò sarà il tempo del<strong>la</strong> consumazione dei secoli, del quale ha<br />

par<strong>la</strong>to chiaramente l’angelo a Daniele quando gli ha detto: “Fino al<strong>la</strong> sera, cioè al<strong>la</strong> fine dei tempi o del secolo<br />

presente, e al<strong>la</strong> mattina, cioè all’inizio dell’eternità o del secolo futuro, 2300 giorni» cit. A.F. Vaucher, Jusques..., p.<br />

18. Può essere interessante comparare questa spiegazione con quel<strong>la</strong> di Teodoreto che secondo <strong>la</strong> traduzione <strong>la</strong>tina di<br />

GABIUS, Opera, t. II, p. 1220, diceva: «Per sera intende l’inizio del<strong>la</strong> ca<strong>la</strong>mità; per mattino, <strong>la</strong> fine del<strong>la</strong> ca<strong>la</strong>mità». Nel

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